Manco: “Fare musica è innanzitutto un’esigenza espressiva”
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il cantautore Antonio Manco in seguito all’ascolto del suo secondo album: ‘Sedicinoni’. Si muove tra il rock, il blues, le melodie cantautoriali nostrane e filoamericane, ponendo sempre attenzione ai testi e dunque alla loro forma linguistica.
Definito una “boccata d’aria fresca“, l’ultimo lavoro del giovane partenopeo, si distingue nel panorama musicale italiano grazie a un’attenta ricercatezza che coniuga canzoni e musica.
Potemmo inoltre definire Manco un cantastorie, alle quali egli lega il senso del viaggio attraverso panorami, immagini e ricordi. Fotografie cantate dunque, che catturano chi ascolta ponendolo al centro della vita e della realtà che vive.
Dopo varie esperienze in campo musicale, Manco si afferma sempre più anche grazie alla collaborazione con Giuseppe Spinelli, Direttore Artistico sia dell’autoprodotto “Ok…il momento è giusto” sia di ‘Sedicinoni’.
Egli asserisce che “quando il cantautore e il viaggiatore s’incontrano, è il massimo” e, difatti, il concetto è ben espresso nella sua forma cantautorale come anche nelle note autobiografiche dalle quali non si distacca con facilità.
Manco, innanzitutto una domanda riguardante il titolo del suo disco: perché “Sedicinoni”?
“‘Sedicinoni’ è il formato ‘widescreen’ per le immagini ad alta definizione. Questa proporzione è ampiamente utilizzata in TV e nel cinema ma anche per le fotografie. Quando le registrazioni dell’album erano terminate e mancavano solo le fasi finali di mix e mastering, ascoltando tutte le canzoni insieme mi è venuto l’idea del titolo dell’album, aspetto al quale stavo ancora pensando senza risultati. Mi sono accorto che le canzoni, messe insieme, fossero collegate da un ‘concept fotografico’. Nei testi dei brani ci sono molti riferimenti alla fotografia, sotto vari punti di vista, e lì dove non ci sono riferimenti diretti, riascoltando tutto mi sono accorto che avevo usato un approccio molto fotografico in generale. Quest’album racchiude molte immagini, panorami, ricordi legati ai posti e alla loro descrizione. Alla fine ho pensato all’album quasi come la compilation della soundtrack di un film. Il film delle storie che racconto”.
Questo è il suo secondo album. Che differenze trova con il suo primo lavoro discografico “Ok..il momento è giusto”?
“Tantissime. Una differenza oserei dire abissale ma voluta. Una differenza tale perché l’ho cercata. Sia nelle sonorità sia nei temi trattati e nel modo di parlarne, nell’approccio alla scrittura dei testi come negli arrangiamenti. Diciamo che è un disco che ho cercato proprio come ‘riscatto’ verso me stesso rispetto al lavoro precedente. E questo approccio mi piace, credo che ogni artista dovrebbe adottarlo quando fa un nuovo disco. Come se dovesse provare qualche cosa a se stesso rispetto al precedente, così è spinto a fare del suo meglio per scrivere cose nuove e diverse, rispetto a sé. Quasi essenziale per rinnovarsi”.
“Sedicinoni” all’ascolto reca con se l’idea del viaggio. Si sente più a suo agio nelle vesti di un cantautore o di un viaggiatore?
“Diciamo che nelle vesti di viaggiatore sono più rilassato e mi godo di più il viaggio, per l’appunto. Nelle vesti di cantautore, per come è la musica oggi, a volte non riesci a goderti tutto appieno con la dovuta serenità, perché devi essere attento e attivo su tanti fronti. Sicuramente, come la domanda già fa intuire e l’album lo conferma, quando il cantautore e il viaggiatore s’incontrano, è il massimo”.
Prendendo in prestito il titolo di un brano del disco, quanto è importante oggi la resilienza?
“Per me è sicuramente fondamentale. Nonostante sia una testa dura e sia una persona abbastanza determinata, cado spesso. Non sono molto bravo a resistere, ma me la cavo abbastanza bene a rialzarmi e per questo serve resilienza. Oggi la resilienza serve, è utile, ma credo lo sia stato in tutti i momenti storici. Con esigenze e pesi diversi, le difficoltà ci sono sempre state. Non credo sia mai esistito un modo perfetto privo di ostacoli e di cadute. Sicuramente oggi la resilienza è importante per certe persone: chi ha idee chiare, pulite, solidali e spesso controcorrente. Per citare De Andrè, chi ‘viaggia in direzione ostinata e contraria’, ha bisogno di molta resilienza”.
Il suo è un disco che parla di amore, sconfitte e voglia comunque di non arrendersi. Quanto c’è di lei in “Sedicinoni”? Possiamo definirlo un lavoro autobiografico?
“Assolutamente! ‘Sedicinoni’ è a tutti gli effetti un lavoro autobiografico. Ma per quanto mi riguarda, mi è difficile non scrivere qualcosa di autobiografico. Uno dei miei principali limiti artistici è il non riuscire a scrivere di cose che non mi toccano in prima persona. Scrivere di problemi sociali o aspetti lontani da me e più universali mi risulta difficile. Invece le canzoni autobiografiche, ad oggi, sono per me le più vere e sincere che possa scrivere”.
Ci può essere, secondo lei, un legame tra la fotografia e la musica?
“Tantissimo. Ma credo che questo avvenga ormai da decenni. I fan più accaniti vogliono i dischi o i vinili dei loro artisti preferiti anche per poter assaporare le foto di copertina e le grafiche interne al ‘booklet’. Da quando esistono i videoclip la musica è sempre più associata alle immagini. Ai concerti, anche i più piccoli, vedi sempre qualche fotografo pronto a immortalare l’energia o l’emotività degli artisti sul palco. Musica e fotografia credo vadano a braccetto. Come parlavamo prima, pur non avendo nessuna velleità fotografica, per me è stato addirittura indispensabile rafforzare questo legame proprio nelle canzoni”.
Infine, cosa pensa del panorama musicale italiano attuale e come si colloca con la sua musica in questo mondo?
“Purtroppo io mi sento molto distante dal fulcro della musica italiana oggi. Questo synth–pop/indie–pop che va per la maggiore a me non dice nulla e trovo le produzioni tutte molto uguali. Tengo a precisare che non voglio dire che la mia musica e quella simile alla mia sia la migliore e che chi fa quello che va per la maggiore adesso non abbia talento o cose da dire. È un mio gusto personale. Per i miei ascolti e i miei gusti, mi trovo molto molto distante. Io penso sempre questo quando scrivo una canzone: scrivere qualcosa che abbia un sound ed un’emotività che a me piacerebbe ascoltare in un artista che non conosco o che ascolto già nelle canzoni dei miei artisti preferiti. Quindi avendo certi tipi di ascolti, scrivo in maniera volutamente influenzata da quegli ascolti e purtroppo lontana da quello che è il panorama attuale. Quindi mi colloco fuori, consapevole delle difficoltà. Ma fare musica deve essere innanzitutto un’esigenza espressiva e, soprattutto se non hai vincoli discografici, è bene partire da questa libertà. Chissà che nella saturazione degli ascolti, sul lungo raggio non possa rivelarsi una risorsa? Staremo a vedere”.
Sergio Battista