Marco Zordan:
“Teatro e audiovisivo dovrebbero convivere in modo creativo”
Incontriamo di nuovo Marco Zordan, Direttore Artistico del teatro Trastevere a Roma. Questa volta però per un’occasione differente dal solito spettacolo teatrale. In questo ultimo anno il mondo dello spettacolo dal vivo si è fermato e i teatri sono gli spazi che ne hanno risentito più di tutti.
Tante strutture si sono rimboccate le maniche architettando nuove soluzioni da proporre in streaming ma, ovviamente, sempre legate al teatro. Nel caso del teatro Trastevere parliamo di ‘Lumière’, una serie di eventi culturali di ampio respiro e diversa natura, totalmente fruibili online.
Zordan descrive questa sua ultima idea aggiungendo interessanti considerazioni sulla condizione globale dello spettacolo dal vivo in questo ultimo anno: lui stesso, come tutti i suoi colleghi, ci racconta come abbia stretto i denti e dato una sferzata alla propria creatività.
Lo stesso Zordan, tuttavia, non nasconde il malumore verso una situazione puramente politica che ha relegato lo spettacolo da vivo all’ultimo posto delle attività culturali da salvare.
Marco Zordan, il teatro è fermo da tanto tempo e voi state cercando di movimentare il palco. Il vostro progetto “Lumière” si svolge online: qual è la sua ambizione?
“Più che ambizione, curiosità di vedere in che modo questi due mondi possano dialogare, senza nessuna presunzione di trovare formule magiche o risposte universali. Se c’è un’ambizione è quella di mantenere centrale il rapporto con i luoghi della cultura, in questo caso il teatro, anche se si tratta di produzioni video”.
Come è stato pensato “Lumière” e quali personalità sono state coinvolte?
“È stato pensato come una sorta di piccola redazione. Proviamo a sviluppare alcuni format che facciano dialogare il video con quello che può dargli un teatro in cui non si può fare spettacolo: incontri, spazi espositivi, storytelling, valorizzazione del territorio. A livello operativo continuiamo a gestire la cosa come gestiamo il teatro, con le stesse forze, mentre a livello esterno abbiamo chiamato ad aiutarci i tanti amici che il teatro Trastevere si è fatto in questi anni”.
“Lumière” è un progetto a tempo determinato o pensate possa proseguire con una cadenza stabilita?
“È partito come progetto limitato al periodo delle chiusure degli spazi teatrali, ma ora che cominciamo a prenderci gusto e che le idee sono tante, potremmo non fermarci, e magari sviluppare qualcosa di parallelo alla stagione”.
In quest’ultimo anno l’unico respiro dello spettacolo dal vivo è stato il supporto audiovisivo: è questo un estremo rimedio o una potenziale novità?
“È partito come estremo rimedio: è stata sicuramente la prima cosa che ci è venuta in mente, credo un po’ a tutti. Ora sta invece diventando una potenziale novità, con la quale fare i conti e alla quale approcciarsi in modo creativo e non più subendola silenziosamente come unica possibilità di continuare a esistere”.
Quanto il “pensiero artistico”, collegato ai diversi ambiti della vita civile, vi ha aiutato a riflettere su questo periodo paralizzato? E se ne avete tratto soluzioni, quali sono quelle da applicare e quali quelle sulle quali lavorare per il futuro?
“Tantissimo. Abbiamo acquisito consapevolezza di quanto il teatro e l’arte siano il sale di tante cose, in molti ambiti, perché sovvertono punti di vista spesso banali, meccanici e che ci fanno subire la realtà. Ne usciamo con la convinzione che, se anche saranno vietati gli spettacoli, ci incontreremo in tanti altri modi in diversi contesti, perché quello che facciamo ha un valore assoluto e molto potente. Resta da capirne la sostenibilità economica, ma lavoreremo anche su quello: finanza creativa, diciamo così”.
Quando questa emergenza sarà finita cosa rimarrà dell’audiovisivo nel teatro?
“Credo che rimarrà tutto quello che non ha sostituito lo spettacolo dal vivo, ma lo ha arricchito. Ad esempio non credo che rimarrà la produzione in streaming degli spettacoli, ma magari rimarrà per fargli superare il limite del luogo fisico di rappresentazione e del periodo. Penso a uno spettacolo del quale usufruire anche online, ma recitato live, e magari riproposto su piattaforma una volta che abbia finito la propria tournée”.
A proposito di audiovisivo: “Teatro all’uscio” è un’altra vostra iniziativa online. Quanto riscontro state avendo e quanto questo aiuta il vostro pubblico a ricordare che il teatro in qualche maniera c’è, esiste?
“‘Teatro all’uscio’, più che da un’idea, parte da un esigenza, esibirci il più vicino possibile alle persone. Abbiamo scelto una forma spettacolare di ‘Teatro–Canzone’ che potesse essere seguito anche da chi passa e si ferma per pochi istanti a guardare (perché ricordiamo che fermarsi a vedere uno spettacolo non si può fare). Abbiamo la fortuna di avere un foyer che si affaccia sulla strada al centro di Roma e abbiamo voluto sfruttarlo per fare qualcosa di più simile possibile allo spettacolo dal vivo. Lo avremmo potuto fare dalla nostra cameretta, ma non avrebbe avuto lo stesso risultato. Abbiamo passanti che ci hanno ringraziato come se i cinque minuti in cui si sono fermati a guardarci, l’incubo del tutto chiuso fosse svanito. Credo che socialmente questo abbia una grande valenza etica ed epica, e non c’è streaming che tenga rispetto ad un passante rassegnato a una città blindata che intravede delle luci di un posto acceso e qualcuno dentro che legge poesie, o interpreta canzoni”.
Nel caso del teatro Trastevere e di prossime aperture, quanti spettacoli rimasti in sospeso a partire dalla chiusura dello scorso marzo sono già pronti per andare in scena?
“Noi, anche se non l’avevamo annunciata, avevamo programmato tutta la stagione, quindi come sarà possibile aprire, metteremo in scena chi avrebbe dovuto farlo da programma. Siamo a più di trenta settimane di chiusura e più o meno altrettanti spettacoli cancellati. Non facciamo programmi se non ormai su date certe di riapertura perché siamo convinti che tanti artisti non vedono l’ora di ritornare sui palchi e quindi, come ne avremo certezza, ricominceremo con il nostro lavoro di programmazione, soprattutto perché ci piacerebbe essere adeguati al periodo in cui riapriremo, ma per esserlo dobbiamo avere le antenne alzate e captare quale sia il sentore del pubblico e proporre loro qualcosa che possa essere gradito”.
Per quanto tempo ancora sarà tollerabile la chiusura dei teatri?
“Dal punto di vista economico non è tollerabile da diverso tempo, per non parlare di quella fetta di pubblico che andrà convinta a tornare a frequentare luoghi che sono stati sempre catalogati tra i più pericolosi”.
Quando si confronta con i suoi colleghi, a tal proposito, che percezione ha circa la situazione attuale?
“Quando mi confronto con i miei colleghi, in questo momento, mi rendo conto di quanto la categoria sia fragile e quanto alla pandemia sia bastato poco per mettere in crisi un completo settore del quale andrebbe fatta una profonda riforma per mettere al sicuro non solo economicamente gli artisti, ma per dare loro una prospettiva e una dignità, entrambi calpestate fino ad oggi, e quindi generatrici di rabbia”.
Uomini e donne che vivono di teatro come hanno passato questi ultimi dodici mesi?
“In attesa di riaperture, di ristori, di cambiamenti, di aperture e di lavoro. E nel frattempo hanno creato tanto lo stesso”.
La lamentela più sentita del mondo dello spettacolo sottolinea come nei teatri, in particolare, i contagi siano sempre stati pari a zero: sarebbe stato davvero possibile tenere aperti questi luoghi con il distanziamento sociale e gli ingressi contingentati?
“Fare la classifica delle attività sicure e quelle meno sicure non fa bene a nessuno e genera contrapposizioni tra settori aumentando il conflitto sociale. C’è un emergenza sanitaria e se è stato chiesto a determinati settori di sacrificarsi, perché ritenuti strategici nella lotta al virus, non ci tireremo indietro e non avanzeremo logiche da orticello. È certo che a questa responsabilità devono corrispondere sostegni economici seri, puntuali e tempestivi, e un sostegno alla ripartenza cominciando proprio da una grande opera di sponsorizzazione dei luoghi della cultura e della loro sicurezza”.
Gabriele Amoroso