Marta Mondini
“Sento che gli insegnanti credono nei giovani, e forse quel divario si sta piano piano accorciando, ma la strada è lunga. Dobbiamo credere di più nei giovani e nelle loro idee. Quello è il futuro“
È stato impossibile non riflettere a lungo dopo l’ultima intervista: la trasformazione che molti di noi stanno cercando di apportare per migliorare il contesto in cui viviamo, sempre più complesso e preoccupante, si fa ogni giorno sempre più necessaria.
La violenza per le strade, il lavoro mal retribuito, i disagi psicologici, il cambiamento climatico; sembra quasi che non ci sia soluzione a tutti questi problemi. Eppure, la scorsa volta, Cinzia Scaglione ci ha raccontato come – nel proprio piccolo – qualcosa si possa fare; avvicinando le persone tra di loro, partendo dai giovani, insegnando agli stessi prima di tutto ad ascoltarsi e – grazie a questo – a saper ascoltare gli altri: una capacità sempre più rara – un ottimo punto di partenza che a cascata gioverebbe su tante altre cose, se non quasi tutte -.
Oggi, invece, con Marta Mondini, collaboratrice redazionale all’interno di un’agenzia editoriale e mamma di due gemelli di 5 anni, vogliamo riagganciarci al discorso scuola e un particolar modo sul rapporto genitori, insegnanti e istituti scolastici.
Marta Mondini: la realtà scolastica percepita da genitrice
Il mondo in cui viviamo infatti è in costante evoluzione, d’altronde è sempre stato così; l’essere umano si evolve di pari passo con la tecnologia e l’ambiente, tentando di sopraffare i bisogni dell’altro, per assecondare la silente – ma pressante – richiesta di essere a tutti i costi iper-performante.
Come possiamo aiutare questo processo distruttivo a venire meno, a rallentare?
Tale domanda spesso risuona nella mia testa senza trovare una risposta precisa, ma facendone emergere diverse. Nell’eco di queste parole ho notato quanto continuasse ad essere ricorrente il termine cultura, e quanto fosse imponente la responsabilità scolastica, proprio perché è lì che iniziamo a tutti gli effetti ad essere
animali sociali, uscendo dal guscio, affacciandoci in un ambiente del tutto sconosciuto.
Sono passati anni da quando ero studentessa e – a parte le notizie sui giornali e le informazioni attraverso validissime pagine social – mi sono resa conto di non avere una reale idea di come sia cambiata questa istituzione, di come studenti, insegnanti e genitori interagiscano tra loro per formare e formarsi.
Quello che ho tentato di fare, è stato porre alcune domande a chi – attraverso i propri figli – torna in quell’ambiente, seppur del tutto diverso, in un’altra veste: quella del genitore; di mamma in questo caso.
Marta così mi ha dedicato parte del suo tempo per raccontarci uno spaccato di questa realtà tanto importante da far spesso discutere.
Marta Mondini, come è cambiata la scuola rispetto a quando eri tu la studentessa?
“Da una parte sono cambiate le insegnanti, i metodi pedagogici, l’idea che si ha dei bambini e degli adolescenti; dall’altra è cambiata un po’ la ‘mission’ dei maestri che spesso e volentieri non hanno scelto di ricoprire questo ruolo, ma si sono ritrovati ad interpretarlo. Questo sicuramente è andato ad intaccare il sistema scolastico in generale, ancora di più. Però per tante cose la scuola, ora, è decisamente più attenta ai problemi psicologici e alle mancanze degli studenti, e questo mi sembra un bellissimo passo in avanti.“
L’istituzione scolastica dovrebbe essere fondamentale non solo per la formazione, ma anche per l’educazione degli studenti. Pensi che riesca in questo compito?
“Non sono convinta che l’educazione di uno studente spetti all’insegnante. L’educazione si sviluppa in famiglia e trova riscontro nella società, di cui fa parte la scuola e quindi anche gli insegnanti. In un mondo perfetto in cui tutti ci comportiamo tenendo a mente il rispetto per l’altro e il benessere della comunità non ci si porrebbe questa domanda. Agli insegnanti spetta il compito di istruire come siamo arrivati ad ottenere diritti, leggi e
anche obblighi morali, ma l’esempio lo deve dare la società di cui tutti facciamo parte.“
Ad oggi si parla moltissimo dell’inserimento dell’educazione sessuale, cosa ne pensi?
“In Italia viviamo in un periodo storico dove la violenza di genere è giornaliera, palpabile e culturale. Il difetto è nel chiamarla ‘educazione sessuale’, dovrebbe affrontare invece il tema dell’emotività. I ragazzi sono sempre più fragili, insicuri, narcisisti e frustrati dal fallimento, anche sentimentale. Si dovrebbe invece insegnare che fallire non è la fine, che perdere un affetto non è la fine e che il rispetto reciproco porta all’equilibrio, sia interiore sia nella coppia. Trovo davvero assurdo che sulla tematica ci sia un dibattito politico, che non guarda all’essenza della proposta, ma pone cavilli morali della tradizione cattolica italiana. Eppure, mi sembrava che fosse Gesù ad aver detto ‘ama il prossimo tuo come te stesso’; i ragazzi non sembrano più in grado di farlo e allora si deve intervenire quando sono piccoli, per crescere adulti più maturi e consapevoli. Dunque, sono assolutamente d’accordo nell’inserire questa ‘nuova materia’.“
Nell’articolo precedente abbiamo parlato anche di confronto tra gli studenti attraverso corsi teatrali, al fine di empatizzare l’uno con l’altro. Credi che già da piccolissimi si dovrebbe cercare questa relazione?
“Fortunatamente in alcuni istituti si svolgono corsi sia di musica sia teatrali: trovo l’iniziativa strepitosa perché permette ai ragazzi di uscire e rientrare in sé stessi arricchiti. D’altronde le arti sono sempre state l’espressione della società, di un sentimento, ma anche il manifesto delle incrinature culturali.”
In una realtà multietnica e interreligiosa cosa è meglio dell’arte per avvicinare i ragazzi?
“Pittura, musica e recitazione dovrebbero entrare in pieno nei programmi scolastici di tutte le fasce di età.”
Differenze tra maschi e femmine: quanto sono evidenti tra i banchi di scuola e quanto si cerca realmente di arginare il problema?
“Tantissimo, ho due figli della stessa età, gemelli maschio/femmina, e posso garantire la differenza c’è ed è anche evidente. Un bambino vivace è visto come simpatico e brillante; una bambina vivace è sopra le righe, irrequieta, in conflitto con sé stessa. Eppure sono la stessa madre, l’ambiente in cui crescono è il medesimo e i giochi che usano sono gli stessi. Cambia l’atteggiamento che l’insegnante ha nei loro confronti. Dalle bambine ci si aspetta che stiano più nel loro ruolo, che siano più delicate, più inquadrabili. A me è stato detto che mia figlia dovrebbe stare
‘nei suoi anni’, perché è troppo matura per la sua età e questo genera fastidio. Ma si sa, per le donne è tutto più complesso, anche nella scuola sin da piccolissime e ancora la strada è lunga per appianare le differenze di genere.“
E riguardo le differenze culturali, religiose, economiche, cosa cerca di fare la scuola?
“Questa è una domanda davvero spinosa a cui rispondere. Da un punto di vista istituzionale la scuola cerca di fare di tutto per migliorare l’integrazione e l’inclusività. Parlo della scuola per l’infanzia che frequentano i miei figli e posso dirvi che tutte le attività scolastiche ed extrascolastiche hanno questo obiettivo. Per chi ha problemi economici ci sono agevolazioni e/o fondi, le attività extra sono coperte dall’istituto. Detto ciò spesso sono gli stessi genitori che non sanno di poter accedere a questi fondi, si vergognano a richiederli, oppure non sanno come fare perché il gap linguistico è molto ampio. Forse servirebbero degli sportelli specifici, in modo che in forma più o meno anonima – chi ha la necessità – possa fare richiesta senza avere il timore dello stigma sociale. Per quanto riguarda invece le differenze culturali e religiose posso dire che è una domanda che si pongono gli adulti, i bambini non se ne rendono neanche conto.”
Cosa vorresti che la scuola facesse in più?
“Che ci fosse più sostegno psicologico alla genitorialità. Avere sportelli nelle scuole sarebbe una bellissima iniziativa anche per aiutare quelle centinaia di genitori stranieri che devono crescere i propri figli in una terra che non è la loro, in una lingua che non gli appartiene, con consuetudini sociali molto distanti per background culturale. Credo che accompagnare queste persone e farle sentire capite e sostenute sarebbe un bellissimo esempio di integrazione che si rifletterebbe anche sugli studenti. Sarei felice se l’iniziativa fosse applicata anche alle famiglie italiane, perché il carico emotivo è tantissimo e confrontarsi sulle proprie paure e perplessità sarebbe stupendo, soprattutto di qualcuno che ti dica che stai facendo un buon lavoro, perché questo è.“
Trovi che genitori e docenti cerchino di raggiungere un obiettivo comune, o che – al contrario – ci sia ancora troppa distanza?
“Dipende dalle situazioni, dal carattere del bambino e dall’indole dell’insegnante, nonché dal contesto socioculturale. Io trovo che ci siano situazioni particolarmente virtuose in cui famiglia e corpo docenti lavorano in forte sinergia, in altre situazioni invece questo affiatamento viene a mancare. Di base vanno anche considerate la legislatura e la burocrazia all’interno delle quali si barcamenano i docenti, un sistema che non consente continuità. Se una classe è costretta a cambiare insegnante nella materia principale ogni anno, diventa difficile fare programmi e progetti a lungo termine. In base alla mia esperienza mi viene da dire che al netto di tutte le difficoltà c’è una buona intesa e mi sembra che la direzione sia la stessa.”
Pensi che tra insegnanti e studenti invece si cerchi di andare verso la stessa direzione?
“Penso che ultimamente, anche dopo gli episodi violenti della polizia con cariche contro gli studenti, si sia creata ancora più intesa tra i due gruppi. Sento che gli insegnanti credono nei giovani, e forse quel divario si sta piano piano accorciando, ma la strada è lunga. Dobbiamo credere di più nei giovani e nelle loro idee. Quello è il futuro.“
In base alla tua esperienza personale, come si relazionano gli insegnanti con i più piccoli?
“Per i più piccoli c’è tanta attenzione alle nuove teorie pedagogiche, si curano molto gli ambienti in cui crescono cercando di incentivare l’autonomia, ma come detto prima alla fine ci si scontra sempre con un retaggio culturale che è molto forte da sradicare. Per cui, le buone intenzioni ci sono tutte, sulla carta.“
Se potessi decidere quale cambiamento apportare in questo contesto, quale sarebbe?
“Cambiare radicalmente il calendario scolastico evitando che gli studenti arrivino all’estate stanchi e stravolti. In più è praticamente impossibile dal punto di vista economico sostenere le spese di tre mesi di vacanza per chi lavora. Mi piacerebbe che ogni istituto proponesse un calendario di attività in estate che non hanno niente a che vedere con la didattica, ma che consentissero, anche a chi non se lo può permettere, di far praticare sport ai proprio figli,
uscite nei musei, ma anche teatro, concerti e così via. Un momento di stacco dallo studio, ma di arricchimento e che non sia un peso sulle famiglie e soprattutto sulle donne.”
L’intervista è terminata, ma non posso lasciare nessuna nostra ospite senza averla prima sottoposta alle ultime tre domande, quelle che ormai mi piace definire la coccola di ‘Rivoluzione Donna’.
Quale è stata/è una figura femminile per voi importante?
“Virginia Woolf, attivista nei movimenti femministi, perché all’interno delle sue opere ha sempre trattato il ruolo della donna nella società sapendo anticipare il futuro.“
Un’opera femminile che ha avuto un’influenza nella vostra vita
“Scelgo un libro, anzi due: ‘”‘Ogni mattina a Jenin’ di Susan Abulhawa e ‘Leggere Lolita a Teheran’ di Azar Nafisi“
Un augurio o un’esortazione rivolta a tutte le donne
“Li rivolgo a mia figlia. Non spaventarti se sei arrabbiata, io sono qui. Non smettere mai di fare domande, son qui per ascoltarle. Sono i progetti a fallire, non le persone.”
Anche questa volta, non mi sento di dover aggiungere altro.
Spero solo che anche questa rubrica possa contribuire ad educare, incoraggiare e svegliare le menti.
Dobbiamo volerla questa rivoluzione!
Silvia Bruni
Ringraziamo di cuore Marta Mondini per la sua disponibilità.