Pietro Dattola: “Esperienza Inventaria: una sperimentazione del diverso e del confronto”
Pietro Dattola, regista e Direttore Artistico del “Festival Inventaria”, ci racconta il dietro le quinte della rassegna nata nove anni fa. Dapprima, quest’ultima, si svolgeva nello storico Teatro dell’Orologio, ormai chiuso, mentre attualmente opta alla soluzione itinerante.
Dal 21 maggio al 16 giugno 2019, ci sarà quindi occasione di partecipare alla festa del teatro off capitolino in spazi versatili quali l’Argot Studio, le Carrozzerie n.o.t., il Trastevere, il Teatrosophia, per infine convogliare il pubblico nel quartiere di Torpignattara allo Studio Uno.
Ciò che si propone il gruppo organizzativo, appunto, è far conoscere la città così immensa sotto le sue infinite sfumature: dal centro alla periferia l’intento è frequentare luoghi che già si differenziano per filosofia, gestione e direzione artistica, al fine di un confronto concreto e una costante sperimentazione.
Lo stesso Dattola conferma, infatti, che oltre all’aumento dei teatri coinvolti in Inventaria, quest’anno ci saranno dei premi consistenti in ospitalità, residenze e servizi. Molte le proposte pervenute, come molte le “difficoltà” di scelta degli spettacoli da offrire al pubblico ma ci auguriamo, vista la crescita della rassegna, che lo standard qualitativo si mantenga sempre alto.
Pietro Dattola, siamo alla 9° Edizione del Festival Inventaria: come è nato e qual è il segreto della sua longevità?
“Inventaria è un festival organizzato da artisti per artisti. Questo si traduce nel fatto che ogni scelta viene fatta assumendo il punto di vista dell’artista (mezzi permettendo, naturalmente). All’epoca, per esempio, sentivamo l’esigenza di un festival nazionale a Roma che fosse davvero accessibile potenzialmente a qualsiasi gruppo, noto o non noto. E anche di una selezione che non fosse necessariamente basata su un video. Il 2011 non è molto lontano nel tempo, ma allora registrare un video anche solo di documentazione era sicuramente meno immediato e più costoso. Oggi registrare un video è più facile e accessibile a tutti e forse proprio per questo praticamente tutti i bandi lo richiedono, anche quelli che ricercano spettacoli inediti. A volte questo crea delle difficoltà alle compagnie, perché implica avere uno spettacolo già pronto ma fermo, già registrato ma inutilizzato. Tempi e costi che spesso le compagnie off, cui ci rivolgiamo, non possono permettersi. Così abbiamo mantenuto questa peculiarità della selezione (anche) solo su progetto. Questa vicinanza, questa comunione d’intenti con chi effettivamente calca le scene, penso sia uno dei motivi della longevità del Festival, insieme al fatto che abbiamo deciso di non fare passi più lunghi della gamba. Ogni anno Inventaria in qualche modo si espande e riusciamo sempre a mantenere i risultati acquisiti e riproporli l’anno dopo. Siamo un gruppo molto piccolo ma affiatato: collaboriamo insieme da quasi quindici anni!”
Quante domande ricevete ogni anno per poi organizzare tutto il lavoro?
“Quest’anno ne abbiamo ricevute quattrocentoventi, alcune anche dall’estero (Belgio, Bielorussia, Regno Unito, Svizzera). Il processo di selezione è sempre più doloroso, perché ci piacerebbe dare spazio a molti, molti più artisti rispetto a quelli che possiamo inserire in cartellone”.
Quest’anno quanti spettacoli saranno in scena e quali temi affronteranno?
“L’edizione 2019 vede in scena ventinove compagnie (4 spettacoli, 6 monologhi, 4 corti teatrali, 11 demo, 4 spettacoli fuori concorso). I linguaggi scenici ed espressivi sono i più vari: dal teatro-danza al monologo, dalla prosa tradizionale al teatro di figura, passando per mille gradazioni di sperimentazione (mai estrema, perché crediamo in un teatro non per soli addetti), così come gli argomenti e i temi trattati: si passa da questioni esistenziali ai problemi pratici di un emigrato all’estero, da testi poetici alla satira politica o sociale. ‘Inventaria’, del resto, porta nel nome stesso il seme della varietà: richiama l’idea di ‘inventario’, di ‘invenzione’; se vogliamo lanciare un brevissimo sguardo alla radice latina della parola, ‘invenio’ significa trovare, il che implica una ricerca, uno scandaglio”.
Qual è il criterio che adottate per scegliere gli stessi?
“Tenendo fede a quanto detto sopra, cerchiamo, per ogni sezione, di costruire un microcosmo che sia il più vario possibile, ossia che presenti la maggior varietà possibile di linguaggi e argomenti. Paradossalmente, i nostri specifici gusti restano sullo sfondo e spesso vengono superati dall’esigenza di offrire dei ventagli espressivi quanto più ampi possibile. Se Inventaria è ‘la festa del teatro off’, vogliamo che a questa festa possano partecipare tutti. Ci si incontra, ognuno con la propria identità, e magari avviene qualche fecondo contagio”.
Quest’ultimo è aperto a compagnie teatrali romane e non: quali secondo lei le differenze tra le proposte locali e quelle fuori sede?
“Tutte le edizioni di Inventaria sono sempre state aperte a compagnie di qualsiasi provenienza e a dir la verità in tutti questi anni non mi è parso di rilevare particolari differenze su base geografica. Nel tempo c’è sicuramente stato un incremento della forma monologo, molto probabilmente per motivi di sostenibilità economica”.
Inventaria è una rassegna che coinvolge molti teatri romani, dai centrali ai periferici: come mai l’esigenza di allargare l’offerta a diversi spazi artistici?
“L’esigenza, concreta, molto concreta, nacque dalla sventurata chiusura del Teatro dell’Orologio. In piena programmazione, a selezione avvenuta, abbiamo dovuto trovare chi ci ospitasse, ma ovviamente le stagioni erano già in corso. Molti spazi però sono stati ben lieti di accogliere parte del Festival e così è nata la formula itinerante. Ci è piaciuta e abbiamo deciso di svilupparla, anno dopo anno”.
Quanta valenza assume, dunque, l’itineranza?
“Roma è una città molto grande e l’occasione del Festival può essere un modo per conoscerla meglio e scoprire aree poco frequentate. Inoltre mi piace molto l’idea di unire centro e periferia e spazi anche molto diversi tra loro per filosofia, gestione e direzione artistica. Tutta l’esperienza di Inventaria dovrebbe essere di sperimentazione del diverso e del confronto”.
In che modo riesce a conciliare il suo lavoro da regista e da Direttore Artistico del Festival?
“Siamo un gruppo affiatato ma molto ristretto, ma, mi piace ribadirlo, molto affiatato. Quest’anno in particolare ho ricevuto molto supporto da tutti, specialmente da Flavia Germana de Lipsis. Alessandro Marrone mi ha dato una grossa mano con i libretti di sala e Alfonso Germanò si è preso in carico altre aree di competenza. Il gruppo è tutto qui. In generale si moltiplicano le ore di veglia. Ogni anno, più o meno nei giorni immediatamente precedenti all’inizio del Festival, devo procurarmi una nuova sveglia, quella vecchia comincio improvvisamente a non sentirla più!”
Infine, è prevista una giuria oppure è solo il pubblico che vota ogni spettacolo?
“Da sempre, i vincitori delle sezioni di Inventaria sono determinati da una giuria di qualità. Anche questo rientra, secondo noi, nella filosofia che deve permeare un festival organizzato da artisti per artisti. Le giurie popolari, soprattutto per le particolarità del pubblico romano (troppo complesse per poterne discutere proficuamente in questa sede), sono a rischio di iniquità e come rassegna vogliamo tutelare le possibilità di vittoria anche di chi viene da fuori. Quest’anno abbiamo deciso di provare ad aggiungere dei premi assegnati dal pubblico, più che altro per verificare se e quanta distanza ci sia tra addetti e pubblico. I premi più importanti (le repliche e le residenze negli spazi partner in tutta Italia) saranno sempre assegnati da una giuria”.
Annalisa Civitelli