Pino Pellegrino: “Il mio è un mestiere fatto di istinto”
Pino Pellegrino, celebre casting director del cinema italiano, racconta a Brainstorming Culturale molti degli aspetti della sua affascinante professione.
Pellegrino è nel mondo dello spettacolo da più di quaranta anni e in tutto questo tempo ha visto il cinema cambiare mentre dava il volto a centinaia di personaggi passati per il grande schermo; è robustissimo il suo sodalizio con il regista Ferzan Ozpetek con il quale il casting director ha guadagnato gratificazioni e premi.
Nel corso di questa intervista si parla dei pregi e dei difetti di questo lavoro lasciando però intendere come gli aspetti creativi e stimolanti superino di gran lunga quelli più noiosi.
Amante dei film epici e in costume, Pellegrino si augura di poter finalmente selezionare, prima o poi, il cast per un film storico.
Pino Pellegrino, in che cosa consiste il mestiere del casting director?
“Consiste nel trovare gli attori giusti per un film e questo per me avviene magicamente leggendo i copioni che mi sottopongono: leggo le battute e miracolosamente mi viene in mente la faccia che dovrebbe avere quel personaggio. A volte l’attore esiste, lo conosco, è già nella mia mente, ma se non mi sovviene allora faccio una ricerca attraverso le varie agenzie oppure penso a degli attori notati in qualche spettacolo teatrale; in sintesi si tratta di mettere la faccia giusta al posto giusto e soprattutto che quella faccia abbia la capacità di calarsi nel ruolo”.
Come ha iniziato questa professione?
“Ho iniziato esattamente nel 1976 facendo l’agente cinematografico. Devo dire che però questa professione non mi è stata insegnata da nessuno: andavo a teatro, vedevo degli attori che mi piacevano, che suscitavano in me emozioni e proponevo loro il passaggio dal teatro al cinema. Proprio nello stesso anno Tinto Brass iniziò a girare ‘Caligola’ e tutta Roma era in subbuglio! La mia fortuna cominciò in quel momento, perché trovai l’attore che poi interpretò il personaggio di Gemello, che nella storia era il fratello di Malcolm McDowell, l’interprete di Caligola. Insomma scoprii questo attore che fece un bel lavoro e da quel momento, per effetto del passaparola, tra gli attori diventò conosciuto anche il mio nome, dunque tantissimi altri mi cercavano per essere rappresentati. Poi ho avuto attori che hanno lavorato con Federico Fellini, Liliana Cavani, Dino Risi e tanti altri grandi registi di quegli anni. Parlo però di un altro tipo di cinema e di un altro tipo di recitazione”.
Di quale tipo di cinema parliamo?
“All’epoca si usava molto il doppiaggio, quindi non era neppure necessario essere bravi come adesso. In quegli anni la prima cosa che importava era avere un bel viso; fondamentalmente già allora trovavo ‘le facce’ e le proponevo ai registi. In questo modo ho iniziato a capire quale era il mondo degli attori e quale era il cinema in generale. A metà degli anni ’90 ho avuto un momento di pausa in cui mi sono occupato della gestione di una discoteca. In seguito ho rincontrato un amico che era un produttore e mi propose di collaborare come casting director nelle sue produzioni e così ho iniziato a fare i casting. Credo che questo sia un lavoro fatto di sensibilità: se la si possiede si riesce a comprendere ciò che un determinato attore può dare e a capire se può diventare il personaggio”.
Che tipo di rapporto intercorre tra il direttore di casting, il regista e il produttore?
“Molto dipende dalla relazione personale che si crea tra queste tre figure, io solitamente instauro un rapporto abbastanza confidenziale con il regista: con Ferzan Ozpetek sono amico da ancora prima che facesse il suo mestiere; con gli altri registi riesco a creare una buona sintonia e spesso questo accade anche con i produttori. Naturalmente può anche succedere che con un regista non si crei quel feeling che favorisca una seconda collaborazione, ma nel lavoro cerco sempre un’interazione che sia il più possibile limpida e serena. Da un punto di vista tecnico questi ruoli si interfacciano a partire dalle richieste del regista, che a sua volta ne parla anche con il produttore. Insieme si affidano al direttore di casting che, dopo aver letto il copione, inizia a tirar fuori e a proporre le proprie idee”.
Quali caratteristiche deve avere un attore per attirare l’attenzione su se stesso durante un casting?
“Sicuramente mostrare capacità, personalità, seduzione, essere in grado di creare un feeling e affascinare. In realtà credo si tratti di qualcosa molto simile a quello che accade anche nella vita quando conosciamo persone che ci piacciono alla prima impressione: è un sentimento immediato. Amo molto le persone che sono loro stesse e ho sempre qualche sospetto nei confronti di quelli che si sforzano di essere a tutti costi simpatici. Quindi posso dire che sotto questo punto di vista lavoro molto di istinto”.
Quali sono le richieste più complesse o difficili da esaudire da parte dei registi?
“La premessa è che con un ottimo lavoro e con un po’ di fatica si riesce a esaudire qualsiasi richiesta. Certo, è molto complicato quando di un determinato campione umano esistono pochi rappresentanti, quindi può succedere che un regista voglia un attore per un personaggio che possiede determinate caratteristiche ma di attori adatti a quel ruolo ne esistano pochi e soprattutto pochi bravi. Noi viviamo a Roma, una città decisamente multirazziale: trovare un attore valido, di esperienza, di una particolare etnia, che sia disponibile e idoneo alle richieste del regista, diventa senza dubbio più difficile. Ad esempio, di recente ho lavorato per una commedia che uscirà prossimamente e il protagonista è un principe arabo: si pensava a un attore che ricordasse Omar Sharif a trent’anni ed è stato abbastanza complicato; in quel momento quello ‘ideale’ era all’estero, era necessario che venisse dagli Stati Uniti e costava troppo. È stato laborioso, ma nonostante tutte le difficoltà posso dire che alla fine l’ho trovato!”
Un buon casting director è in grado di far cambiare idea a un regista in merito alla scelta di un attore?
“Dipende: io a volte ci riesco e a volte no. Dipende sempre dal rapporto che si ha con il regista, dalla stima che il regista stesso ha in te. Se sono convinto dell’attore che propongo e riesco a far capire al regista che sarebbe più giusto di quello che ha in mente lui, la cosa mi gratifica!”
In quali contesti si va principalmente alla ricerca degli attori per un cast?
“In parte dipende dal tipo di progetto e dal tipo di film; ad ogni modo, nella maggior parte dei casi, si parte sempre dalle agenzie, alle quali mando una cast list, oppure seleziono gli attori attraverso i siti delle stesse. In seguito valuto il materiale fotografico o lo show reel che mi inviano: se penso sia il caso, incontro gli attori e, se mi fanno una buona impressione, organizzo un provino. Al di fuori dei progetti già definiti mi capita spesso di andare a teatro o di assistere a rappresentazioni di scuole di recitazione e tenere bene a mente attori interessanti. Ad esempio, anni fa andai ad assistere agli esami fatti all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’ e notai un attore che mi piacque molto, lo proposi a Ferzan Ozpetek e questo giovane attore finì con l’avere un piccolo ruolo all’interno di ‘La finestra di fronte’”.
Quali sono gli aspetti più stimolanti e quelli più ripetitivi del suo lavoro?
“L’aspetto più stimolante è senza dubbio la lettura di un buon copione, perché fa venire voglia di andare alla ricerca di quella serie di visi da ‘attaccare’ ai personaggi. Potrei dire invece che l’aspetto più ripetitivo o noioso è quello di contattare gli attori noti già decisi, perché in quel caso basta fare una semplice telefonata e si perde il fascino della ricerca”.
Qual è il cast da lei composto di cui va più fiero?
“Questo è difficile dirlo. Posso affermare che forse il miglior cast realizzato mi sembra sia sempre l’ultimo, quindi, nel mio caso, quello che ho messo insieme per ‘La dea fortuna’, sempre di Ozpetek”.
I Nastri d’argento sono tra i premi cinematografici più importanti in Italia e comprendono anche la categoria del ‘Miglior casting director’ nella quale lei ha vinto nel 2014 per ‘Allacciate le cinture’, di nuovo di Ferzan Ozpetek: quanto è importante avere un riconoscimento così concreto?
“Vincere un premio è senz’altro un fatto di gratificazione personale e vincere il Nastro d’argento mi ha reso molto felice! Tuttavia questo evento non porta necessariamente maggiore lavoro ma rimane, senza dubbio, un fatto molto soddisfacente e porta maggiore visibilità”.
Di quale film del passato le sarebbe piaciuto selezionare il cast?
“Se devo dire la verità allora direi ‘Via col vento’. È un’opera che amo molto e che avrò visto 45 volte, a partire dal cinema, nelle arene, in videocassetta, e addirittura alla basilica di Massenzio durante l’‘Estate romana’! È un film che mi coinvolge tantissimo, perché è epico, ha personaggi indimenticabili, basti pensare a Rossella e Melania. Mi piacerebbe davvero, un giorno, comporre il cast per un film di questo genere”.
Gabriele Amoroso