Raffaele Aprile: “Il mio futuro è quello di non smettere mai di sperimentare e cercare nuove idee, per emozionare sempre più l’osservatore, facendo in modo che ogni giorno che passa mi spinga sempre a farmi stare bene, perché l’arte è la linfa della vita”
Durante la settimana decisiva della finale italiana degli Europei a Wembley, tra emozioni nuove e minime parvenze di ritorno alla realtà, abbiamo incontrato un personaggio assai curioso e nostrano, a dir poco favoloso nel senso stretto della parola: il pittore Raffaele Aprile.
Lui certamente ha poco a che vedere con il nostro quotidiano e la tangibilità: con la sua arte, fatta di geometrie asimmetriche, colori fortemente vivaci ed esplosivi, figure fluttuanti senza un senso definito, ci fa immergere in un sogno non compiuto e paradossale, al limite dell’estraniazione; ci conduce su un’ipotetica quarta dimensione spazio–temporale che niente ha a che fare con la realtà tout court, riecheggiando piuttosto l’onirico metafisico di De Chirico e il surreale dell’inconscio di Dalì.
Un artista originale, che sin da piccolo ha sfruttato il suo talento per creare “senza pensare”, prediligendo dipingere di notte, perché “[…] la notte è un momento silenzioso e di meditazione dove il mio estro artistico si accende per entrare nello spazio astratto”.
Seguendo, dopo gli studi statali, un corso di pittura, Raffaele Aprile impara egregiamente tutte le varie tecniche, dalla matita al pastello, dall’acquerello alla ceramica, dalla tecnica mista all’anatomia del corpo umano. Aprile, inoltre, ha già realizzato diverse mostre personali e collettive, e il suo modo di dipingere viene definito “Astrattismo Astrale”.
Nelle sue tele, volumi e spazi sono semplificati e disegnati come solidi geometrici, ricordando vagamente il cubismo primitivo di Braque, ma allo stesso tempo i colori, accesi, lucenti e contrastanti, conducono l’osservatore oltre il limite della formalizzazione sintetica delle figure, coinvolgendolo in un vortice di caos iridescente che solo un estro inconsapevole e naif riesce a creare.
Di fatto tutte le sue opere, dagli assurdi astrattismi ai fiori colorati, per concludere nelle più semplici e sensuali donne ritratte, rappresentano una fusione di ciò che l’artista vede, sente, ascolta, tocca e percepisce: quasi un sogno indefinito, un prisma sensoriale, in cui ogni elemento produce emozione, abbandonando la logica ed abbracciando la visione.
Raffaele Aprile è impeto allo stato puro, e ora vi spieghiamo il perché.
Raffaele Aprile, iniziamo dal principio: come, quando è perché ha deciso di iniziare a dipingere?
“Tutto comincia in età adolescenziale. Ho sempre disegnato da piccolino e sfruttato la mia creatività spontanea costruendo giocattoli di tutti i tipi, sia con legno o chiodi sia cuscinetti a sfera, ecc. All’epoca ci si divertiva con poco, ma crescendo i miei disegni prendevano sempre più importanza e padronanza del mio tempo. Terminate le scuole superiori frequentai una scuola d’arte nel 1990 dove imparai le tecniche come l’acquerello, il pastello e l’olio ecc. Cosi cominciò il mio percorso d’arte che fino ad oggi, che sono in pensione, non ho mai abbandonato e spero di non abbandonare mai finché le mani mi daranno la forza e la soddisfazione di emozionare l’osservatore davanti alle mie opere”.
Analizzando i suoi lavori, le influenze di alcune avanguardie storiche sono evidentissime: l’astrattismo di Kandinsky, le geometrizzazioni formali tipiche del cubismo, ma anche i fiori sensuali e misteriosi di una più recente Georgia O’Keeffe. Quale dunque, se esiste, l’eredità del passato nelle sue opere?
“Si, in effetti ci sono alcune somiglianze con Kandinsky, ma vi assicuro che quando iniziai a disegnare ancora non ero consapevole del mio astrattismo. Tutto cominciava da un foglietto di carta qualsiasi e una matita: il mio bozzetto non seguiva alcuna corrente, tutte le forme geometriche, cerchi, rettangoli, sfere che derivavano dalla mia creatività, erano nient’altro che la trasformazione del mio corpo che viaggiava in uno spazio nell’universo, tanto che il mio è stato definito Astrattismo Astrale, anche se l’astrattismo stesso in realtà non ha alcuna definizione”.
I suoi quadri seguono tre filoni diversi: gli astrattismi, i fiori e le donne. Quali sono le ragioni che l’hanno portato a questi percorsi così differenti, e quali le loro specifiche caratteristiche?
“Lei ha provato a mangiare panini continuamente? Penso che chiunque si stancherebbe. Siamo sempre tutti in cerca di novità, di stimoli e di piaceri derivanti dalla quotidianità: di conseguenza anche io sento il bisogno di sperimentare come ogni pittore che lascia la sua storia fatta di percorsi e di periodi, come quello sulla figurazione delle donne, dei fiori e chi sa quale sarà il prossimo. Del resto, tuttavia non mancherà mai il mio vero essere pittorico, ovvero l’incontro tra l’astrattismo e il figurativo, che sulle mie tele convivono da sempre”.
Ciò che dipinge non è una mera imitazione della realtà, che è stato per secoli il focus dell’artista tout court: è un sogno, un linguaggio simbolico per lo più da interpretare?
“Un giorno, in una mia mostra personale, entrò un grande critico d’arte e, osservando le mie opere, vide alcune frasi scritte al fianco di ognuna, e mi disse ‘queste opere parlano da sole, non hanno bisogno di queste frasi’. Interpretare il mio dipinto è come un viaggio: addentrandosi in esso ci si accorge di essere avvolti da un mondo di vibrazioni e di colori composti dalla gioia”.
Quale dovrebbe essere a tal proposito la funzione dell’osservatore?
“Le risposte potrebbero essere molteplici. Circa l’astrattismo, sicuramente, ritengo che sia il fulcro della mia arte; al contrario, per quanto riguarda il figurativo, cerco di trasmettere l’importanza di stati d’animo quali serenità, gioia, amore, dolcezza e bellezza. Per godersi una mia opera, seduti su un divano comodo, ci si può liberamente lasciar coccolare dal profumo di un fiore o dal volto affascinante di una donna mentre si viaggia nel mondo astrale dell’arte”.
L’arte nell’ultimo ventennio ormai è caratterizzata da forme espressive sempre più lontane dalla pittura figurativa e realista, per cui tra minimalismi, digitalismi e grafiche, il “quadro classico” in sé quasi non esiste più. Qual è la sua idea a tal proposito?
“In realtà l’arte è tutta bellissima. Tutti ci improvvisiamo pittori, ma chi ama l’arte non può permettersi di giudicare, quindi io non giudico: ‘per me un’opera è data da un solo risultato: può essere bella o brutta’”.
Sembra che lei prediliga dipingere di notte nel tuo studio/abitazione: perché?
“Quante volte vi capita di rilassarvi sul letto e chiudere gli occhi? Quindi cercate il buio per sognare, per pensare e per colmare quei vuoti e percepire piccole soddisfazioni. Così capita a me: un cavalletto, un pennello, una tela da dipingere, e intorno il mio ‘Io’ nel silenzio del profumo di un cielo stellato distaccato dalla realtà e trasportato in un viaggio astrale”.
Dal punto di vista tecnico i colori utilizzati, vivaci e multiformi, finiscono sempre per essere “coronati” dal tocco finale di una greca dorata: in che consiste e qual è il suo significato?
“I miei colori fanno parte di uno studio scientifico e psicologico dati dalle tonalità studiate appositamente per essere accoppiate insieme e non disturbare alcuna parte del dipinto, per realizzare al meglio il bilanciamento e l’ambiente dell’opera stessa. Il tocco finale è un ultimo passaggio di colore, che eseguo con una polvere d’oro dipinta a mano, che attraversando l’opera come una mia impronta, è presente nel quadro in alcune parti e sparisce in altre, per poi ricomparire. La ‘greca dorata’ invece evidenzia la mia presenza nel dipinto e sta a significare che non sparirò mai finché esso vivrà su questa terra”.
Le sue opere, espressioni evidenti di moti forti ed intensi, sono frutto di un sentimento reale, di un’ispirazione spontanea, o nascono da una scelta ponderata, razionale e critica?
“Come dicevo prima, le mie opere nascono esclusivamente da un bozzetto fatto a matita, spontaneamente, senza copiare o osservare altre fonti. Sembra tutto così semplice quando penso che, per scoprire il mio ‘Io’, ci sono voluti quasi venticinque anni. Vi assicuro però che nel mio inconscio sono stati anni molto difficili: mi svegliavo di notte per capire ciò che mi tormentava dentro, fin quando realizzai il mio primo quadro astratto 80×60, frutto della farina del mio sacco: ‘Frammenti e Chimere’, il numero uno della raccolta”.
Il futuro dell’artista oggi qual è? Perché ci si dovrebbe svegliare un giorno e decidere di prendere un pennello in mano per dipingere?
“Il mio futuro è quello di non smettere mai di sperimentare, cercare nuove idee, per emozionare sempre più l’osservatore, facendo in modo che ogni giorno che passa mi spinga sempre a farmi stare bene, perché l’arte è la linfa della vita”.
In altre parole, si può “scegliere” di “vivere” dipingendo?
“Sicuramente, io vivo per dipingere. Diceva un mio maestro: ‘chi impara la musica e l’arte non muore mai fino a che rimane nel cuore di chi vive’”.
Infine, senza far torto a nessuno, chi è il suo autore preferito?
“Ve lo confesso, ora che so tutto di lui posso confermare con franchezza: Vasilij Vasil’evič Kandinskij”.
Vania Lai