Sigfrido Ranucci
“La libertà è la possibilità di operare le proprie scelte, avendo come finalità sempre il bene comune. Senza però ledere la dignità o la libertà altrui“
Il teatro Villa Lazzaroni della capitale apre a eventi che esulano dalla vera e propria programmazione teatrale. Vuol dire, infatti, inserire presentazioni di libri ed eventi in cui si approfondiscono tematiche di attualità o altro ancora. Rassegne, queste, ideate da Ulderico Pesce il quale, proprio nella splendida cornice della location sita in Via Appia Nuova, dialoga con Sigfrido Ranucci che porta con sé il suo libro: “La scelta”.
Il 20 ottobre scorso quindi abbiamo assistito a un dialogo animato tra l’attore e il giornalista di inchiesta che, nel suo testo, gioca con spunti autobiografici e la sua ultradecennale esperienza lavorativa.
Tuttavia, a Ranucci non piace parlare di sé. È un uomo timido, ma integerrimo nel ricoprire il suo ruolo professionale. Di fatto schiva le grandi piazze televisive e preferisce il contatto con le persone per presentare appunto la sua opera a teatro.
Si crea così una sintonia tangibile: Pesce legge alcuni passi del volume dal quale emerge una scrittura immaginifica, perfetta, stesa con assoluta maestria, e Sigfrido Ranucci intrattiene la platea anche con ironia.
Sigfrido Ranucci: il senso del giornalismo di inchiesta
Si parla delle inchieste che sono valse al giornalista Premi importanti; si prosegue con racconti che riguardano la famiglia e il rapporto con i figli; si sceglie di esprimersi riguardo la Rai, della libertà che il giornalista e la sua squadra esercitano con “Report”, della legalità a cui crede il conduttore del programma.
Si prosegue con gli spunti che Ranucci stesso ha ricevuto dalle persone a lui care – a partire da suo padre per finire con il suo mentore Roberto Morrione -, poiché “ognuno che si incontra ci lascia qualche cosa“.
Ascoltare, dunque, come testimoniare scegliendo le parole giuste per narrare: un impegno per il bene comune, per migliorare il mondo. Contro una panoramica attuale che non fa ben sperare se si pensa a quanto l’informazione sia ogni giorno presa di mira e imbavagliata.
Si menzionano inoltre i rapporti tra i giornalisti/e, criminalità e politica, come di conseguenza “Report” che Ranucci conduce dal 2017, ereditandolo da Milena Gabanelli che lo ha ideato.
La trasmissione etica, che negli anni ha mantenuto la sua identità, il suo DNA, di base rimane il romanzo dei fatti. Argomento che abbiamo approfondito anche nella nostra intervista.
L’emozione di ogni prima puntata
‘Report’ ha ripreso la sua consueta programmazione lo scorso 27 ottobre e in una battuta Sigfrido Ranucci ci risponde che prima di ogni prima puntata della nuova stagione “c’è una grande emozione, tensione e l’aspettativa di fare bene, di essere all’altezza di quello che ci chiede il pubblico. Ogni volta è come se fosse la ‘prima puntata’ della mia vita.”
Non abbiamo però parlato solo del programma, anzi. Inoltrandoci tra le righe Ranucci ci fa comprendere quanto libertà e legalità siano valori essenziali che vanno di pari passo alla ricerca costante della verità. I segreti della sua creatura sono frutto del grosso lavoro di redazione, della scoperta e di come vagliare le notizie prima di rimandarle al pubblico.
Infine, in che stato di salute è l’Editoria? In che modo scelte e persone influenzano la nostra esistenza? Cosa significa fare inchieste, da dove si parte e dove si arriva? Quanto, forse, dovremmo svegliarci dal nostro stato di torpore collettivo?
Una semplice chiaccherata che racchiude in sé significati radicati e denota l’integrità di un uomo gentile, che lavora in modo onesto, consapevole e coscienzioso.
Sigfrido Ranucci, perché il titolo del libro “La scelta”?
“Nasce dalla consapevolezza che le carriere delle donne e degli uomini vengono determinate più dalle scelte che si fanno – ma a volte anche da quelle che non si fanno – piuttosto che dalle qualità che si hanno. Ma anche dai personaggi che si incontrano nella vita che, se noi ci soffermiamo un attimo a pensare, vediamo che siamo stati più condizionati da loro e dalle scelte che hanno fatto.”
Visto che ha parlato di qualità, appunto, cosa intende per “qualità”?
“La ‘qualità’ è la capacità di elevare uno stato, di elevare un prodotto, di elevare la comunità. Credo che possa essere definito un personaggio di qualità colui che con la sua azione eleva lo stato della comunità.”
Questa sua risposta mi fa pensare al suo mestiere di Giornalista, di cronista e di fare inchieste, e quindi mi rimanda al suo programma “Report”. Lei ha ereditato il programma nel 2017 da Milena Gabanelli. Che realtà ha trovato e inoltre, lei conduce la trasmissione con onestà e fa una corretta informazione al fine di rimandare un buon servizio ai cittadini, alla collettività. Dunque, che significa per lei informare?
“Il giornalismo di inchiesta ha come prerogativa quello di illuminare delle zone d’ombra. Mi sono ritrovato, infatti, all’interno del ‘gruppo’ più importante dal punto di vista storico, ma anche da quello qualitativo del giornalismo di inchiesta sia in Italia sia televisivo. ‘Report’ è il massimo a cui uno può aspirare. Il suo successo, dunque, è stato quello di essere fedele alla sua mission originaria che è appunto nel titolo – Report – ovvero ‘rapporto’, cioè senza opinioni. Rimanere quindi fedeli al suo DNA che è quello di essere ‘il romanzo dei fatti’.“
A tal proposito, in un’intervista lei ha precisato che le sue inchieste sono come “illuminare le zone d’ombra, con libertà, senza padroni. Incidere, con il tuo lavoro, sulla vita dei cittadini”. Pertanto, cosa è per lei la libertà?
“La libertà è la possibilità di operare le proprie scelte, avendo come finalità sempre il bene comune. Senza però ledere la dignità o la libertà altrui.“
Quanta valenza ha il lavoro di redazione e quanto tempo impiegate per realizzare le inchieste: da dove partite, come arrivate a sviscerare la notizia per ampliarla e divulgarla alla collettività?
“Le tempistiche variano da inchiesta a inchiesta. Dalla capacità di chiudere gli argomenti e dunque arrivare subito a meta. Le inchieste possono durare tre mesi o addirittura diciotto giorni – in poco tempo – come, per esempio, è capitato a me. Mi riferisco a quella che è stata – forse – la più importante della mia carriera, quella che ha denunciato l’utilizzo dell’arma chimica, il ‘fosforo bianco’ a Fallujah da parte degli Stati Uniti. In questo caso sono stato molto fortunato.“
“Credo che possa essere definito un personaggio di qualità colui che con la sua azione eleva lo stato della comunità“
Lei intende collegare fatti, notizie per, di conseguenza, strutturare l’inchiesta?
“Esatto. Avere le notizie, confermarle, cercare le persone che possono parlare dell’evento, montare il tutto e girare anche delle situazioni. Le inchieste possono però nascere – nella maggior parte dei casi – anche dalle segnalazioni del pubblico. Abbiamo infatti la fortuna di averne novantamila, un patrimonio di originalità incredibile. Tuttavia un’indagine può scaturire da una semplice curiosità. Per esempio, a me è capitato, a una festa di compleanno, di vedere passare una torta con le candeline a fontana sopra. Da qui mi sono interrogato: ‘le scintille che finiscono sulla panna noi le mangiamo, ma cosa c’è dentro?’. Abbiamo così approfondito la questione, scoprendo che – ‘quelle scintille’ – sono metalli pesanti, cancerogeni. Di conseguenza si fa una riflessione: ‘ci sono tante regole sull’alimentazione, su come conservare e coltivare il cibo, oppure allevare gli animali, e poi un comportamento arbitrario di un ristoratore magari rompe questa catena di rigore, mettendo sulla torta una fontana prodotta in Cina che fa scintille e noi le mangiamo.’“
Il lavoro redazionale da quanto comprendo è dunque un lavoro molto importante, poiché si forma una catena di ingranaggio che non deve o dovrebbe mai interrompersi
“Sì. Il lavoro redazionale significa ‘essere’ l’occhio della redazione, l’occhio di chi ha anche il controllo editoriale sul prodotto. Pertanto è fondamentale.“
Come definisce la parola Cultura attualmente? “Report” è una forma di cultura e, se sì, in che modo?
“Se diamo un significato di formazione alla cultura sicuramente lo è sia nei contenuti sia nella forma, perché la forma del giornalismo di ‘Report’ – nonostante le critiche – è una forma etica. Noi, infatti, non siamo mai agenti provocatori e cerchiamo di dare – quando ci si riesce – anche una via di uscita a quello che denunciamo ovvero una exit-strategy. Credo che ‘Report’, appunto, possa essere considerata una trasmissione di cultura, poiché forma non solo a livello di contenuti ma anche sulla sensibilità a cui bisogna far riferimento – per controllare i ‘contenuti’ – perché una comunità stia attenta a quei ‘contenuti’. Perché poi sono proprio i ‘contenuti’ che cambiano la qualità della nostra vita, creando malessere e spesso non riusciamo a percepire le cause.“
Cosa intende esattamente?
“Intendo dire che noi è come se vivessimo perennemente sott’acqua, con la testa infilata in una busta di plastica. Non riusciamo quindi a capire chi ci ha messo la busta in testa e quali sono le ragioni. Credo pertanto che il lavoro che fa ‘Report’, dal punto di vista del contributo alla collettività, sia molto importante e che possa coadiuvare alla cultura della legalità.“
È anche sinonimo della narrazione della contemporaneità?
“Assolutamente sì. Senza però perdere di vista né il passato né la memoria, fondamentali per donare delle chiavi di lettura del presente.“
Infine, in che stato di salute è l’Editoria e perché non se ne parla mai abbastanza; soprattutto perché, secondo lei, non si riesce a vivere con il mestiere di giornalista. Di conseguenza come si può migliorare lo stato dei salari non solo in campo giornalistico?
“Lo stato dei salari andrebbe migliorato sicuramente. Ce lo chiede pure l’Europa, quello di adottare l’equo compenso. Questo rimane comunque un tema vasto che riguarda varie categorie. Il problema dell’Editoria è molto serio: siamo di fronte alla perdita dell’identità dell’Editore puro, che non esiste più. Vorrei, infatti, provocatoriamente che qualsiasi testata giornalistica mettesse in prima pagina quali sono gli interessi dell’Editore, per comprendere se gli articoli che contengono dentro sono per l’Editore o per la collettività. Per fare un esempio: si sa che la Rai è in mano al Governo e si conosce chiaramente qual è la mission della maggior parte dei programmi che trasmette, fatte le dovute eccezioni. Secondo il mio parere, sono molto più insidiosi altri giornali o Editori, che nascondono che l’Editore spesso è o un politico direttamente o qualche imprenditore legato a un doppio filo ai politici. Per questo direi che sarebbe fondamentale pubblicare gli interessi dell’Editore per capire in che direzione sta andando il giornale, qual è la linea editoriale dello stesso.“
Annalisa Civitelli
Foto dal web
Ringraziamo di cuore Sigfrido Ranucci per averci donato la sua disponibilità all’intervista.
Un cultore del suo mestiere di giornalista di inchiesta, gentile e rispettoso degli altri, soprattutto autorevole verso il mestiere che svolge.