Susanna Cantelmo:
“Improvvisare per me significa stupire e stupirsi”
Di origine romane, dai suoi 18 anni in poi si è avvicinata e appassionata all’improvvisazione teatrale. Coniuga questa attività con il suo lavoro presso la “Magicaburla Onlus – Associazione di clownterapia” e la scuola di improvvisazione teatrale “Verbavolant” di Roma.
Dopo anni di corsi, e non solo di improvvisazione, anche rivolti al teatro classico, alla scrittura, alla stesura del testo e agli studi musicali, si è dunque prodigata nello sviluppo di una performance che unisce improvvisazione e tango.
Attrice, regista e scrittrice, la Cantelmo, dalla tempra forte e determinata, è capace di farci intraprendere dei viaggi da seduti e farci sentire coinvolti, come in questo caso, un mondo rivolto all’universo femminile, complicato e magnifico al contempo.
Attenta e oculata è in grado di donare al suo pubblico rappresentazioni dal carattere sobrio; in scena modula i suoi personaggi divertendosi, potendo così essere chi desidera in quel momento; infine, scatena la fantasia e si lascia guidare verso mondi sconosciuti e da scoprire.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarla in seguito alla pièce ‘Gli occhi delle donne’, cogliendo l’occasione di porle qualche domanda.
Susanna Cantelmo, perché “Gli occhi delle donne”?
“Gli occhi delle donne è uno spettacolo di improvvisazione teatrale che ha solo attrici donne nel cast. Il desiderio è stato quello di portare in scena il respiro delle donne, le loro complessità così come la forza o le debolezze. Credo che la donna sia il quadro più complesso e meraviglioso che ci sia. Il titolo dello spettacolo prende spunto dalla scintilla che genera le storie, gli occhi appunto e lo sguardo”.
In questa pièce entrano in gioco diversi elementi, tra i quali il tango. Quale motivazione l’ha spinta a coniugare questo ballo all’improvvisazione teatrale?
“Nel tango è importante la ‘mirada’, lo sguardo che fa scegliere con chi ballare; il processo quindi è simile; una storia come il tango nasce da un’intesa”.
Come si è avvicinata all’improvvisazione teatrale?
“Avevo diciotto anni e fui colpita da uno spettacolo di improvvisazione; inizia il percorso e non ho più smesso”.
Quanti anni di “studi improvvisativi” ci vogliono per sviluppare una rappresentazione?
“Tanti e non solo di improvvisazione teatrale. Ci vuole tempo per consolidare capacità, sensibilità e strumenti. Un bravo improvvisatore deve essere passato per il testo, la scrittura, gli studi musicali. Insomma un bravo attore improvvisatore deve avere una formazione ampia e di valore”.
Dunque, da improvvisatrice e da regista, quanto tempo ha impiegato a dare vita alla sua idea?
“L’idea è un lampo, non ha bisogno di tempo, arriva! Per realizzarla ho dovuto pensare a delle brave attrici, in linea con lo stile e con i miei pensieri”.
Che significa per lei improvvisare e quale valenza dà a questa forma recitativa?
“Improvvisare per me significa stupire e stupirsi; significa poter essere chi si vuole e quando si vuole quando si improvvisa, bisogna in poco tempo delineare internamente lo scheletro del personaggio, la sua storia, i suoi legami senza, in realtà, avere il tempo di farlo. Sembra assurdo ma è così. Ho un grande rispetto per questa forma d’arte che tutti dovrebbero apprezzare e conoscere. Le potenzialità sono ovviamente infinite e il nostro lavoro è quello di sperimentare spettacoli e format di stili diversi”.
Da donna, quali messaggi desidera divulgare con questo spettacolo?
“Vorrei che si riflettesse sulla bellezza dell’eterogeneità del genere femminile; lungi da me voler portare in scena uno spettacolo femminista, non ci penso proprio. In questa pièce si parla anche di uomini, si amano, si detestano, ci fanno compagnia, ci guidano, sono sottomessi, sono i nostri eroi o i nostri carnefici così come noi donne lo siamo per loro, come nella realtà. E poi con questa rappresentazione voglio offrire un viaggio attraverso i nostri occhi che, come una telecamera, entrano nei sentimenti e nell’anima delle donne”.
Infine, chi viene ad assistere allo spettacolo quali messaggi, secondo lei, può cogliere?
“Gli spettatori colgono tutto, vengono investiti completamente dal nostro linguaggio; possono ridere o piangere, possono immedesimarsi o sperare di non essere mai uno dei nostri personaggi. Come ha scritto una spettatrice alla quale sono grata: “Alla fine ti avvicini alle attrici per abbracciarle perché arrivi loro quel senso di gratitudine vera e profonda che hai dentro”.
Annalisa Civitelli