Agnese Fallongo e Tiziano Caputo: “Il teatro non morirà mai”
Abbiamo incontrato un duo che rafforza il proprio sodalizio sul palcoscenico: Agnese Fallongo e Tiziano Caputo sono i protagonisti di ‘Letizia va alla guerra. La suora, la sposa, la puttana’, in scena al Teatro della Cometa di Roma fino al 17 febbraio.
I due attori ci raccontano della loro collaborazione ma soprattutto dello spettacolo inteso come un omaggio alle storie delle persone comuni e dei piccoli che in qualche modo hanno contribuito a fare la storia.
Un lavoro che prende vita grazie a una ricerca storica precisa e che dà voce alla nostra memoria con il connubio tra parola, musica e canto.
Questa unione viene spontanea proprio per l’amore che Caputo e la Fallongo nutrono nei confronti della musica, la quale interviene all’interno della rappresentazione quando la parola non è più sufficiente, attraverso una catarsi e avvicinandoci al divino.
Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, “Letizia va alla guerra” racconta un’Italia ormai chiusa nel passato: quanto di quell’epoca possiamo ritrovare nella storia odierna?
Agnese: “Partendo dal presupposto che la storia è ‘magistra vitae’ ritengo che possiamo ritrovare moltissimo del passato nel nostro presente, ancora pregno dei sapori, degli odori e dei racconti tragicomici di un’Italia frammentata e straziata ma che, nonostante tutto, porta ancora in sé l’eco di uno spiccato valore artistico. Non serve guardare troppo indietro, basta fare una chiacchierata con i nostri nonni per capire quanto sia ancora vivo nei loro sguardi il ricordo del fascismo, delle case chiuse e, purtroppo, della seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda gli inizi del 900 e la grande guerra (argomento portante del nostro spettacolo a cavallo tra i due conflitti mondiali) la memoria è sicuramente più sfocata e meno palpabile fino a quando non si prendono fra le mani le lettere dei soldati al fronte, delle crocerossine o delle portatrici di gerle che scrivevano ai loro affetti per confortarsi vicendevolmente. Certi fatti non hanno tempo, rimarranno sempre vivi ed è giusto parlarne e riparlarne, anche per renderci semplicemente conto di chi siamo figli. Lo spettacolo vuole essere proprio un omaggio alle storie delle persone comuni, dei piccoli che, pur non rientrando nei libri di scuola, hanno fatto la storia”.
Tiziano: “Direi fin troppo dato che molte delle cose che viviamo oggi sono soprattutto conseguenze dirette di quella storia lì. A partire dal sistema di sfruttamento della prostituzione, dato che nello spettacolo si parla di Legge Merlin (è l’esempio più chiaro che mi viene in mente). Se vogliamo essere più generici direi che certamente la figura della donna ha avuto dei cambiamenti e che sembra quindi estremamente diversa da quella di metà 900. Eppure, allo stesso tempo, mi ritrovo ad osservare che sotto certi aspetti non sia cambiata poi così tanto, quantomeno per ciò che concerne il pregiudizio, in diversi ambiti. È un po’ come se un albero potesse cambiare la propria corteccia, lasciando però le proprie radici ancorate in una terra infeconda. È proprio per questo che mi auguro che il continuare a ricordare, a parlare e a denunciare sotto molte forme possa, col tempo, portare ad un cambiamento profondo”.
Siete stati entrambi protagonisti di lavori teatrali annoverati nella letteratura classica, come “Un uomo è un uomo” di Brecht o “Lo straniero” di Camus. Quali differenze avete potuto riscontrare, in quanto attori, nel trattare un lavoro originale come “Letizia va alla guerra”, del quale oltretutto Agnese è anche autrice?
Tiziano: “È un processo quasi completamente diverso. Lavorare su un testo classico ti porta a scavare molto per cercare di capire cosa volesse dire l’autore (spesso appartenente ad un’altra epoca) ed in molti casi per scovare qualcosa in più che non sia già stato rappresentato da altri prima di te. Questo certo è un grosso scoglio, ma c’è da dire che di solito si parte già da una base solida e collaudata. Lavorare invece su un testo inedito o come si suol dire ‘vergine’, è tutta un’altra storia! Sai esattamente che quelle parole non sono mai state analizzate, pensate, usate da nessun’altro, e non dalla mente dell’autore. Certamente una bella suggestione per chi di mestiere racconta storie. Personalmente posso dire che Agnese rispecchia l’attrice e l’autrice con cui avrei sempre voluto collaborare”.
Agnese: “Trovo che sia già estremamente diverso interpretare dei testi contemporanei e/o inediti rispetto ad uno classico; ancora differente l’esperienza di recitarne uno che hai partorito tu stessa. Per quanto mi riguarda il lavoro è stato doppio: cavalcare l’immediata adesione che avevo con le parole scritte ma al tempo stesso dimenticare di esserne l’autrice, proprio per darmi la possibilità di scoprire diverse chiavi di lettura interpretative. In questo processo è stato molto utile il percorso svolto con il regista dello spettacolo Adriano Evangelisti, che mi ha guidato con maestria assecondando le mie proposte ma al tempo stesso facendomi riflettere su tanti sotto testi e sfumature che io stessa non avevo preso in considerazione. Un vero e proprio lavoro di squadra il nostro, anche quello con il mio collega Tiziano Caputo, che ha subito creduto nel progetto sposandolo appieno, dalla prima lettura. Diciamo che non avrei potuto desiderare né regista né compagno di scena migliore per le mie Letizie”.
Agnese e Tiziano, tutti e due avete una solida preparazione musicale sia nel canto, sia nell’uso degli strumenti: quanto ritenete sia importante la musica nel teatro?
Agnese: “Io adoro la multidisciplinarità e la commistione delle arti quando è ben fatta. Al contrario detesto le etichette e tutto ciò che tende ad imbrigliare l’attore. Nonostante le nostre abilità canore, abbiamo cercato di inserire l’elemento musicale sempre come parte integrante del testo, dimenticando l’elemento performativo. Abbiamo scelto di far subentrare la musica quando le parole non erano più sufficienti, a sublimazione di alcuni momenti che diventano catartici proprio grazie ad un canto popolare o ad una melodia che, come una macchina del tempo, riporta immediatamente lo spettatore in un determinato contesto storico e locale. La musica che diventa storia e che, al tempo stesso, avvicina l’uomo al divino: la trovo di fondamentale importanza in tutte le arti, ovviamente quando va ad aggiungere qualcosa e riesce a dire la sua, altrimenti è meglio non utilizzarla affatto”.
Tiziano: “Sia io, sia Agnese siamo affascinati dalla musica in teatro, spesso è uno schiaffo in più che si dà al pubblico. Per schiaffo in questo caso si intende qualcosa di bello, di catartico, lo spettatore viene a teatro proprio per questo! La musica fa da legame fra una scena e l’altra, comunica ciò che le parole o gli sguardi non possono più raccontare e fa respirare tutti, chi canta e chi ascolta”.
“Letizia” è un lavoro carico di significato, siete riusciti a trovare anche circostanze
divertenti durante le prove?
Tiziano: “Assolutamente sì! Non solo nell’allestimento iniziale, ogni volta che riprendiamo lo spettacolo c’è tantissimo da ridere! Anche quando si lavora sodo e c’è tensione per un debutto alle porte, grazie al rapporto fra me, Agnese ed il nostro regista Adriano Evangelisti, si creano sempre le circostanze per sdrammatizzare ed il buonumore si spreca! Questa è in parte anche la filosofia del nostro spettacolo, carico di dramma, ma costantemente supportato dalla risata, dolce e amaro, come la vita”.
Agnese: “Diciamo che se mi chiedessero domani di firmare un contratto di distribuzione per questo spettacolo per i prossimi tre anni non esiterei un istante. E questo, oltre all’amore che nutro per il progetto, è anche legato alla sinergia che si è creata fra me, Adriano e Tiziano. Forse è la prima volta che mi trovo a lavorare in un ambiente così disciplinato ma allo stesso tempo così familiare e sereno. Andare alle prove diventa una gioia. Nonostante il testo porti con sé un carico emotivo importante, fra di noi c’è sempre una grande ironia e le risate non mancano mai. Non mi piace chi si prende troppo sul serio, che non vuol dire non essere ligi sul lavoro, ma non dimenticare mai quel lato puerile legato al gioco e alla freschezza, che è anche il motivo per il quale ho scelto di fare questo mestiere così maledetto eppure al tempo stesso così meraviglioso”.
Che tipo di ricerca storiografica c’è alla base dello spettacolo?
Agnese: “Una ricerca lunga e certosina che parte dai libri di storia, dagli scambi epistolari dei soldati e delle crocerossine con i propri affetti, dalla scoperta di filmati, giornali e suggestioni cinematografiche, fino ad arrivare alle chiacchiere vis à vis con chi quel periodo storico (nello specifico il fascismo e la seconda guerra mondiale) l’ha vissuto sulla propria pelle. Sono partita dal fare quattro chiacchiere con mio nonno fino ad intervistare una suora dell’orfanotrofio Gregorio Antonelli (citato anche nel testo) e una ex prostituta. È stato interessante anche studiare cos’era e cos’è oggi la prostituzione, come veniva gestita in passato e come viene gestita oggi, nel 2019. Un argomento ostico, delicato e controverso, soprattutto se si pensa che nella maggior parte dei casi, oggi come ieri, non si tratta di una scelta. Folgorante la visione del film ‘D’Amore e d’Anarchia’ di Lina Wertmuller, regista straordinaria che ha tracciato un vero e proprio affresco dell’universo delle case di tolleranza nell’Italia degli anni ’30. Dal profano al sacro, dalla vita reale al romanzo, ho cercato di tracciare un percorso dai colori pastello di quello che è stato il periodo antecedente la famosa emancipazione femminile rovistando tra fantasia e realtà”.
Tiziano: “Agnese è una persona molto empatica e questa grande qualità umana la porta nella scrittura. Il suo lavoro è frutto di studio e di ricerche nel senso più tradizionale del termine, attraverso libri, articoli e via dicendo. Ma una parte importante della sua attività è la ricerca attraverso interviste o più semplicemente attraverso la conoscenza. Spinta solo dal suo istinto e dalla sua curiosità, ha il grande dono di aprirsi alle persone e quindi di far sì che le persone si aprano a loro volta. Anziani, suore, pescatori, lei riesce a comunicare con chiunque. Poi basta mettere il proprio estro creativo a servizio della realtà e comunicare qualcosa diventa estremamente semplice”.
Agnese, ci dica i pregi di Tiziano come compagno di scena.
“Tiziano è un Artista. Sempre pronto a mettere le sue straordinarie doti di interprete e musicista a servizio del personaggio e dello spettacolo, mai del proprio ego. È il compagno di scena che tutti vorrebbero, molto generoso ma, soprattutto, sempre in ascolto. Con lui mi sento al sicuro, quasi protetta dal fatto che qualsiasi cosa succederà sul palco lui salverà la situazione. È un attore istrionico e sensibile, con eccezionali doti comiche ma sempre autentico anche sul drammatico, oltre ad essere un cantante e musicista formidabile. Lavorare con lui è un arricchimento continuo e, per questo, lo ringrazio”.
Tiziano, ci dica altrettanto.
“Siamo talmente complementari che è molto semplice per me individuare i pregi di Agnese. È un’attrice di pancia, piena di sensibilità, femminile, che sa alternare il suo lato comico ad un pathos sempre autentico e genuino, ha un’espressività straripante che la farà sempre vincere in scena, riesce a portare il pubblico dalla sua parte”.
Siete due attori giovani ma pieni di talento e molto impegnati sulle scene: quale futuro vedete per il teatro italiano?
Agnese: “Difficile rispondere a questa domanda. Essendo un’ottimista incallita tendente all’entusiasmo cronico non posso che asserire che il teatro non morirà mai. È rimasto uno dei pochi momenti autentici, insieme allo sport, in cui l’uomo esce di casa per andare a vedere un altro uomo e condividere con lui un momento unico e irripetibile nella storia. Credo che mai come adesso, in un momento in cui la comunicazione è sempre più veloce e filtrata dai mille schermi tecnologici che sono ormai entrati a far parte delle nostre vite, ci sia bisogno di guardarsi negli occhi, di scambiarsi delle sensazioni autentiche, di raccontarsi, di prendersi e riprendersi tempo. Mi piacerebbe solo che i teatri fossero pieni come gli stadi e che ci fossero altrettanti abbonamenti. Sarebbe bello tifare i propri artisti inneggiando alla cultura e ad un mondo più libero e meno gretto”.
Tiziano: “Negli ultimi anni la cultura è stata latitante, non si sapeva più perché bisognava investire su di essa. Il teatro concettualmente si fonda su un binomio: chi il teatro lo fa e chi invece lo guarda. Come in tutte le coppie la colpa del crollo degli ultimi anni sta da entrambe le parti. Ci si è traditi a vicenda. La qualità di chi lo fa è calata notevolmente ma anche chi lo guarda si è totalmente disinteressato della rovina. Ci si è accontentati l’uno dell’altro. Io credo che pian piano in Italia si stia tornando ad un Teatro necessario, fatto di emozioni condivise, di semplicità. Forse si sta ritrovando il motivo per cui, in un Paese che si fa chiamare ‘civile’, dovrebbe esistere una realtà teatrale forte. Un passepartout per imparare ad essere felici”.
Finite le repliche di “Letizia” dove potremo vedervi?
Tiziano: “Continueremo a viaggiare per l’Italia con questo ed un altro nostro spettacolo che si intitola ‘Terra Noscia – Scalata in musica lungo lo stivale’. Nei prossimi mesi avremo repliche a Pordenone, Mantova e nella parte più profonda della Calabria. Continueremo comunque a muoverci anche su Roma e dintorni”.
Agnese: “Sicuramente continueremo a portare ‘Letizia Va Alla Guerra’ in giro per l’Italia sia al Nord che al Sud: Veneto, Fiuli–Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Sicilia; col desiderio di allungare sempre di più la nostra tournée. Inoltre debutteremo il 7 aprile al Teatro Spazio Studio S. Orsola di Mantova (stagione AltroTeatro) con il nostro nuovo spettacolo ‘Terra Noscia – Scalata in musica lungo lo stivale’ per la regia di Raffaele Latagliata, prodotto da Nove Teatro”.
Gabriele Amoroso