Alberto Negrin: “Ricordare Rita Levi significa affrontare la questione delle professioni femminili e del ruolo delle donne”
Il 26 febbraio è andato in onda su Rai Uno il film “Rita Levi Montalcini”, dopo essere stato presentato nella 18esima edizione di “Alice nella città” all’interno della Festa del cinema di Roma 2020.
Il regista Alberto Negrin ci racconta il lungo lavoro svolto non senza complicazioni dovute alla selezione del materiale e alle differenti opinioni degli sceneggiatori.
Durante la realizzazione del film è stata fondamentale la collaborazione con Piera Levi Montalcini, nipote di Rita, presenza “insostituibile e indispensabile”, con la quale il regista si è confrontato di modo tale che nulla del girato risultasse fuorviante.
Tutto quello che è stato narrato è infatti realmente accaduto e mette in risalto la figura della ricercatrice e scienziata che assume ancora più rilevanza sia per le giovani generazioni sia in questo periodo di emergenza sanitaria.
Alberto Negrin, quale tipo di fonti ha consultato per la stesura della sceneggiatura del film da lei diretto, “Rita Levi Montalcini”?
“Ho letto credo tutti i libri che ha scritto, ho parlato con i due suoi collaboratori più importanti filmandoli per ore e facendomi raccontare numerosi episodi che hanno trovato spazio nel film. Non ho inventato nulla”.
Perché ha scelto di far partire il racconto dopo il conferimento del premio Nobel alla medicina alla Montalcini?
“Il primo progetto prevedeva una narrazione più lunga in due parti. Per ragioni di budget e di cambio del palinsesto abbiamo dovuto condensare tutto in una sola serata per cui abbiamo scelto di concentrarci non sulla sua intera vita ma su un episodio del tutto sconosciuto e molto significativo, quello appunto di una bambina che rischiava la cecità”.
Ai fini del lungometraggio quanto lavoro ha impiegato nella selezione degli episodi riguardanti la giovinezza di Rita?
“Dal primo giorno di scrittura fino a pochi giorni dalla consegna al network. La sceneggiatura approvata è stata consegnata alla Rai alla fine del 2015 dopo due anni di lavoro ed è stata realizzata nel 2019”.
In fase di stesura della sceneggiatura, è stato difficile scegliere tali momenti o in fase di montaggio avrebbe preferito inserirne altri?
“La realizzazione del film è stata complicatissima. Si sono dovute tener presenti, e a volte subire, le numerose differenti opinioni tra gli sceneggiatori e tra gli sceneggiatori e la Rai prima e, dopo, tra il regista da una parte e la Produzione e la Rai dall’altra durante la fase vera e propria di realizzazione, costringendo a dei compromessi molto faticosi e a mio avviso ingiustificati dettati più da incomprensibili paure che da analisi professionalmente motivate. Si è dovuto discutere persino su alcune didascalie finali nelle quali si pretendeva che tutta la vicenda narrata venisse qualificata come ‘un’opera frutto della libera fantasia creativa degli autori’ e questo dopo aver documentato con ogni sorta di materiale l’autenticità di quanto era stato raccontato. È stato grazie a Piera Levi Montalcini che, affiancandomi, alla fine quella didascalia inaccettabile e fuorviante è stata modificata”.
Durante il corso della narrazione di “Rita Levi Montalcini” si è mantenuta una linea temporale realistica oppure, per rendere la storia della scienziata più interessante, sono stati inseriti alcuni elementi di finzione, non realmente accaduti?
“Tutto ciò che è stato raccontato è accaduto realmente. La bambina che rischiava la cecità è un fatto reale, abbiamo dovuto ovviamente, per ragioni di privacy, cambiare i nomi, la professione dei genitori e i dati personali reali della bambina. L’unica libertà che mi sono preso è stata quella di trasformarla in una giovane violinista di talento. Libertà della quale sono il primo responsabile e che è stata pienamente accettata dalla nipote Piera Levi Montalcini”.
Che impatto ha avuto la fiction in questo periodo in cui l’emergenza sanitaria ha messo in primo piano il valore della ricerca e della scienza?
“Mi pare sia stato un forte impatto. Ricevo ancora delle telefonate di complimenti e di domande su alcuni dettagli”.
Dunque, quanto è importante ricordare ancora oggi la figura della ricercatrice italiana in questa difficile e delicata fase storica?
“Ricordare una figura come Rita Levi Montalcini significa affrontare la questione delle professioni femminili, del ruolo della donna e soprattutto smascherare molte ipocrisie. La fase storica che attraversiamo ha radici molto lontane, purtroppo”.
Quanto ha imparato dalla personalità di Rita Levi e cosa si porta dietro da questa esperienza registica?
“Ho avuto conferma una volta di più che la tenacia, lo studio, la volontà fondata sulla propria coscienza morale, vincono sempre prima o poi”.
Quanto è stata importante la collaborazione con la nipote di Rita, Piera Levi Montalcini, per ricostruirne la vita?
“Insostituibile e indispensabile”.
“Rita Levi Montalcini” ha partecipato alla 18a edizione di “Alice Nella Città” all’interno del Festival del Cinema di Roma 2020: quali sono state le reazioni del pubblico e quanto riscontro ha avuto il film?
“É stata una serata che ricordo molto bene per un lunghissimo applauso che non finiva mai”.
Infine, l’attenzione che Rita Levi Montalcini aveva per i giovani, secondo lei, si può considerare ancora uno stimolo per le future generazioni?
“Assolutamente sì, è quello che dovrebbero fare tutti i nostri cosiddetti dirigenti ovunque essi operino”.
Maria Vittoria Guaraldi