Andrea Angelucci:
“Essere archeologo significa essere filantropo, essere a servizio della collettività con un’accezione che esula i confini nazionali, poiché il patrimonio archeologico, storico e artistico è proprietà di tutta l’umanità”
“Sono uno spirito libero, multisfaccettato, a volte anche troppo pieno di interessi diversi”. Andrea Angelucci, in questa intervista, si descrive in questo modo. Ed è esattamente così che la sua personalità emerge tra le righe: eclettica sotto molti punti di vista, piena di svaghi e trasporto per ciò che fa.
Archeologo, guida turistica, musicista, Art Rider. Angelucci lo abbiamo conosciuto proprio in quest’ultima veste, tramite la trasmissione che va in onda su Rai5: ‘Art Rider’, appunto.
Voluto fortemente dalla casa di produzione Ga&a e soprattutto dalla presidente e produttrrice, Gioia Avvantaggiato, il programma è entrato nelle case degli italiani con l’obiettivo di divulgare l’arte a tutto tondo: il giovane archeologo – un esploratore moderno – quindi ha il compito di narrare il suo viaggio e condurre i telespettatori all’interno dei tesori nascosti d’Italia.
Andrea Angelucci compie questa missione con enfasi e dedizione. Soprattutto, oltre a farci conosere luoghi, Regioni, città e borghi, percorre la Penisola in lungo e in largo grazie a una forma di turismo lento.
Tale tragitto gli permette di entrare in contatto con il circostante e di adattarsi a ciò che trova intorno a sé, di avvicinare gli abitanti del posto, di viaggiare con l’essenziale e dunque di vivere in sintonia con la natura. Trovare armonia con essa permette di ristabilire il giusto equilibrio tra noi e l’ambiente, che guida l’artista a creare la sua arte: “credo che, se si voglia apprezzare e capire l’arte, si debba amare e capire la natura“.
Angelucci si racconta con estrema linearità. Anche i suoi disegni ad acquerello parlano di lui: sono fotografie, scatti del momento, di ciò che l’Art Rider vede di fronte a sé e ne coglie l’insieme per rivederlo in futuro.
Ciò che traspare è anche quanto la figura dell’archeologo sia ancora rilevante, in quanto studia sì il passato, ma al contempo comprende e studia chi siamo stati per capire meglio il presente. L’archeologo si sacrifica e combatte per raggiungere il traguardo, sporcandosi le mani e, attraverso una progressione interiore, cresce anche sbagliando e quando fatica.
Una persona poliedrica, Andrea Angelucci, che insegue i suoi obiettivi senza perdersi d’animo, insegnandoci che fare bene il proprio mestiere rende felici e nel mentre realizziamo “qualcosa di valido e prezioso anche per gli altri“.
Andrea Angelucci, dalla prima serie di “Art Rider” alla terza: qual è la sua emozione più grande?
“È emozionante avere il grande onore e la grande responsabilità di entrare nelle case dei telespettatori a portargli la travolgente bellezza dell’arte. Ma l’emozione più grande nasce quando riesco a generare, in chi mi segue, quella curiosità che è la scintilla di ogni viaggio, grande o piccolo che sia. Nel momento in cui realizzo che quello che faccio non solo è apprezzato, ma che è anche utile perché spinge qualcuno a partire alla scoperta, sento in me un profondo senso di soddisfazione e appagamento. Sento di aver fatto le scelte giuste, mi sento realizzato“.
Il fine della trasmissione è quello di raccontare i tesori nascosti d’Italia: che cosa significa essere un archeologo in tempi moderni?
“Essere archeologo in tempi moderni significa conservare intatta la voglia di riportare alla luce le vicende dei nostri avi, o progenitori, che ci hanno preceduto su questa terra. Capire chi siamo stati, da dove veniamo, per conoscere noi stessi. Scoprire chi sono stati i nostri predecessori ponendo attenzione a qualsiasi cosa essi ci hanno ‘lasciato’, dal più insignificante oggetto al gigantesco monumento o alla più sontuosa opera d’arte. Essere archeologi significa questo, essere mossi da una passione travolgente la cui forza propulsiva è la curiosità e la voglia di sapere, di capire: una passione talmente smodata e autentica che supporta i professionisti di questo settore in un mondo del lavoro tutt’altro che semplice e rassicurante. Significa quindi anche mettere in campo questa passione, la propria dedizione, le proprie competenze per la scoperta, la valorizzazione e la conservazione del patrimonio culturale. Essere archeologo quindi, significa anche essere filantropo, essere a servizio della collettività con un’accezione che esula i confini nazionali, poiché il patrimonio archeologico, storico e artistico è proprietà di tutta l’umanità“.
Come è nata l’idea di “Art Rider”?
“‘Art Rider’ nasce dall’intuizione della casa di produzione Ga&a, soprattutto nella figura del suo presidente e produttore esecutivo Gioia Avvantaggiato, la quale ha voluto portare questo archeologo ed ‘esploratore moderno’ a raccontare la sua filosofia di viaggio e scoperta in tv. Nasce dalla voglia di portare sugli schermi un prodotto fresco, dinamico, scientificamente rigoroso ma mai pedante: un invito al viaggio e soprattutto uno stimolo alla curiosità. Il tutto approfittando – non per ultimo – della lungimiranza di un canale strepitoso come Rai5, che offre al pubblico un palinsesto di assoluto pregio e qualità con l’obiettivo di diffondere l’amore per l’arte, la cultura e il bello. In definitiva, ‘Art Rider’ nasce dalla sinergia e dalle capacità di tante persone che amano l’arte e gli effetti benefici di una buona divulgazione“.
Nelle puntate lei si muove a piedi e il termine “rider” tradotto in italiano significa “cavaliere”: la possiamo definire un “cavaliere dell’arte”?
“I cavalieri, nel nostro immaginario romantico, erano personaggi virtuosi che mettevano la loro vita a servizio degli altri e avevano una missione. E, in questa chiave, essere definito un cavaliere mi lusinga e mi diverte allo stesso tempo, perché certamente ‘Art Rider’ segue un obiettivo, ha la sua missione da portare a termine. Una missione che non è solo quella di portare, come diciamo noi, l’’arte nelle case degli italiani’; ma è quella di fare arrivare in generale la bellezza, visto che davvero molto spesso il nostro patrimonio è circondato da contesti paesaggistici di gran pregio e da storie umane che vale la pena raccontare, anch’esse vere e proprie opere d’arte. E poi i fine vero è quello di generare curiosità, la spinta propulsiva per qualsiasi genere di scoperta“.
Diffondendo appunto l’arte nelle sue tante infinite sfumature, lei viaggia grazie a una forma di turismo denominata “lento”: che sensazione le provoca camminare lungo i sentieri e non solo, fermarsi nei piccoli borghi ed entrare in contatto con le persone in modo reale?
“Significa viaggiare davvero: più viaggiamo lenti, più conosciamo il contesto che stiamo esplorando, e quindi abbiamo la possibilità di amarlo di più. Viaggiare non significa solo vedere, ma significa osservare, e vivere il luogo che si sta attraversando. E come può essere possibile farlo se non si entra in contatto con le donne e gli uomini che lo abitano ogni giorno? I gruppi umani, le loro attività, le tradizioni che essi tramando, la loro conoscenza specifica ed approfondita di un contesto, la memoria collettiva che posseggono, sono tutti aspetti immancabili che chi ama viaggiare davvero non può tralasciare. E tutti questi aspetti, se ci facciamo caso, li riscontriamo nell’arte. Gli artisti, nelle loro opere, hanno riversato tutto questo bagaglio di esperienze personali fatte nel corso della loro esistenza. La scelta di un paesaggio sullo sfondo, di un particolare, di una tecnica, di un dettaglio, di uno stile definito, tutto questo ci parla dell’artista stesso, della sua committenza e del contesto storico in cui è vissuto“.
A volte, durante il suo cammino, si ferma in posti che la fanno stare a stretto contatto con la natura. Che sintonia trova con l’ambiente che trova e come si sente a viaggiare con pochi mezzi a disposizione?
“La natura è sempre stata la grande maestra di tutti gli artisti. L’artista crea. Fare arte è un atto trascendentale di creazione, e quindi le manifestazioni del creato – la natura appunto – sono sempre state la vera fonte di ispirazione per gli artisti. Credo che, se si voglia apprezzare e capire l’arte, si debba amare e capire la natura. E viaggiare in maniera semplice, con pochi mezzi, ti riporta all’essenzialità e ti dà la possibilità di apprezzare il valore delle cose, di meravigliarti degli strabilianti miracoli che natura ed arte, così inscindibilmente legate, hanno realizzato nel corso dei secoli. La natura è la grande maestra degli artisti, e la natura la vivi davvero se ti riduci ad una vita essenziale, semplice, in balia dei suoi ritmi e delle sue regole“.
Quindi, in tali circostanze, in che modo si “arrangia” in contrasto con le tante cose che ci circondano nella vita quotidiana e pronte all’uso?
“Grazie anche all’esperienza messa da parte in tanti anni di vita a contatto con la natura, nella pratica delle attività in montagna e alpinismo (altre mie grandi passioni) e in generale all’aria aperta. Ho sempre amato il campeggio e viaggiare in maniera essenziale ed economica, anche per ragioni di budget. ‘Arrangiarsi’ è un’arte che si impara e si perfeziona con l’esperienza e la creatività, portandoti ad apprezzare molto di più le cose“.
La sua passione per il disegno la porta sempre con sé: taccuino, matita e acquerelli sono sempre pronti all’uso. Che cosa sente mentre riproduce su carta ciò che vede di fronte a lei?
“Quello è un vero e proprio momento di meditazione, in cui mi concentro per fissare il più possibile le sensazioni, le emozioni e l’atmosfera in cui sono immerso. Il disegno, infatti, molto più di una foto ha la possibilità di proiettare quello che stiamo provando mentre contempliamo ciò che abbiamo davanti. Riverso quindi nel disegno tutte le mie attenzioni perché so bene che nel futuro, quando riguarderò quell’acquerello sfogliando il taccuino, sarà per me come riaprire il cassetto dei ricordi. Molto più efficace che riaprire una semplice galleria di fotografie“.
Possiamo definirla un divulgatore a tutti gli effetti come oggi Alberto Angela?
“Io mi definisco una ‘guida turistica’, con un bagaglio di studi archeologici, che ha il grande onore di poter arrivare direttamente nelle case degli italiani. Ogni guida turistica è un divulgatore, che mette a servizio le proprie competenze e la propria passione in quella che è una professione straordinaria, di grande valore, ma spesso poco tenuta in considerazione. Molti, nel corso degli anni, mi hanno paragonato ad Alberto Angela (facendo anche osservazioni simpatiche sul mio cognome Angelucci): pur non amando mai troppo i paragoni, debbo dire in tutta onestà che questo ogni volta mi lusinga e mi onora. Sono cresciuto con i servizi e gli approfondimenti di Alberto Angela, ho ancora parecchie videocassette piene di puntate di ‘Superquark’ e ‘Passaggio a Nord Ovest’, ma in cuor mio credo di dover ancora imparare molto da professionisti come lui, soprattutto in termini di esperienza, e sono assolutamente determinato a farlo per poter meritare poi appieno il paragone“.
Per strutturare il suo programma da chi ha preso spunto?
“Il programma è molto semplicemente un diario di viaggio che replica in maniera perfetta, senza artifici, la modalità con cui organizzo e conduco i miei viaggi personali di svago o approfondimento. La sua struttura ricalca, quindi, quello che faccio di solito, dalla pianificazione allo svolgimento. È chiaro che poi, nel confezionare e strutturare ad arte il format televisivo, l’apporto fondamentale è quello dei due autori Chiara Vannoni e Paolo Fazzini, e di tutte le idee della folta equipe composta da tutti noi, troupe e produzione compresa“.
Che cosa consiglia ai giovani che desiderano intraprendere la carriera dell’archeologo?
“Mi capita spesso di sentirmi rivolgere tale domanda. La risposta che do è quella che darei a me stesso se potessi tornare indietro con una macchina del tempo: sappi che è una strada lunga, dura, piena di meravigliose soddisfazioni personali, ma che si scontra con una realtà lavorativa disastrosa. Sii sempre convinto, non smettere mai di studiare, di approfondire. Sii creativo e specializzati più possibile in quello che più ti piace. E soprattutto non lasciare mai che le difficoltà sbiadiscano la tua passione: alimentala sempre, perché è quella che fa la differenza“.
Questa figura sembra sempre fare riferimento al passato. Secondo lei è in contrapposizione con la modernità oppure può trovare una sorta di dialogo con i tempi che viviamo?
“L’archeologo studia il passato, sì, ma sapere chi siamo stati serve a dirci chi siamo, ci aiuta nel presente. Studiare la storia, e le storie degli antichi, apre la nostra mente e ci dà una capacità di lettura della realtà che altrimenti non ci permetterebbe di capire bene la nostra contemporaneità. Per esempio, non esiste geopolitica senza storia. In più, altro aspetto fondamentale, è che il nostro patrimonio archeologico non è mai in nessun modo – al contrario di quello che qualcuno ancora crede – un freno al nostro progresso: è anzi un valore aggiunto che abbiamo, una ricchezza che nessuno può vantare e che per un paese come l’Italia non può essere altro che un’opportunità anche economica”.
L’archeologia nasconde in sé il senso del mistero. Può provare a descriverci la sua emozione più forte nell’aver trovato reperti riemersi alla luce?
“L’emozione sta nel creare, anche solo per un istante, una sorta di buco spaziotemporale che ti proietta in un passato che fino a quel momento ignoravi. Dico sempre questo: l’archeologia non deve avere tanto l’attenzione per il reperto in sé o il monumento, per il loro valore intrinseco, ma per quello che quel ritrovamento o contesto può dirti sulla vita di chi l’ha posseduto, voluto, realizzato, sognato. L’archeologia non è amore dell’oggetto, ma amore per quello che l’oggetto può dirti riguardo le donne e gli uomini del passato. Quindi per noi (almeno per me) ogni reperto – dalla fibula o dal peso di un telaio, al sarcofago in oro di un faraone – ha un valore immenso perché abbatte quella distanza tra noi, moderni, e loro, i nostri avi che ci hanno preceduto su questa terra“.
Il mestiere dell’archeologo significa anche sporcarsi le mani. Quanto valore ha ancora il sacrificio nel giungere all’obiettivo prefisso?
“Ogni cosa bella richiede sacrificio. Il vero valore di un traguardo non è tanto il traguardo stesso, ma la progressione interiore, pratica e professionale che si genera per raggiungerlo. Noi cresciamo solo quando ci sacrifichiamo, o sbagliamo. Penso quindi a tutti i professionisti che, nonostante le già citate difficoltà, perseverano nel raggiungere il loro obiettivo. C’è tanto sacrificio in questi contesti. Penso anche a tante persone che ho intervistato nella trasmissione e che lottano per rimanere nel loro territorio, per non emigrare, puntando sulla valorizzazione e lo sviluppo sostenibile. In Italia c’è un esercito di persone che si sacrifica ogni giorno per realizzare un sogno a vantaggio della collettività e dell’ambiente. ‘Art Rider’ vuole dare voce anche a loro, perché anche le loro vite sono delle opere d’arte“.
La sua prossima meta?
“Mentre rispondo a questa intervista sono circondato da oggetti e vestiti che devo riporre in valigia per un viaggio che mi porterà in Armenia: anche qui un territorio meraviglioso pieno di meraviglie storiche, artistiche e paesaggistiche poco note ed assolutamente da raccontare e far conoscere. Questi sono i contesti che amo di più“.
Cosa ci dobbiamo aspettare: un’altra serie di “Art Rider” oppure un altro genere di programma?
“Tra tutte le domande di questa intervista questa è l’unica a cui non so davvero dare risposta. Io sono pronto e super entusiasta a continuare l’avventura, anche perché noi tutti – produzione e troupe – abbiamo ancora tanta voglia di fare e tantissime idee da creare. Vogliamo continuare a realizzare questo nostro sogno, e speriamo che si concretizzi presto la possibilità di procedere a lavorare, facendo tesoro della meravigliosa esperienza accumulata con le tre stagioni del programma“.
Infine, lei è anche musicista: come fa a conciliare tutte le sue attività e in che modo la musica si accosta alla figura di archeologo?
“La musica è un’altra forma di arte. Un altro modo per esprimersi, per vivere la vita appieno. È anche divertimento, svago; ma per me è stata, ed è ancora, anche un’attività lavorativa che mi permette di sostentarmi e di continuare a fare tutto ciò che faccio. Sono uno spirito libero, multisfaccettato, a volte anche troppo pieno di interessi diversi. Ma ogni cosa che faccio cerco di incastrarla alla perfezione con il resto, perché è solo grazie a questo equilibrio che riesco ad essere ciò che sono e di essere libero di fare ciò che faccio. Se amiamo il nostro lavoro, lo facciamo bene e siamo felici. E realizziamo qualcosa di valido e prezioso anche per gli altri“.
Annalisa Civitelli
Ringraziamo Andrea Angelucci per la disponibilità all’intervista e per aver avuto la pazienza di rispondere alle tante domande. È emerso un Universo di ampia conoscenza, che trova equilibrio tra l’essere archeologo, guida turistica, musicista e Art Rider al contempo. Andrea Angelucci ci insegna soprattutto cosa significhi far conciliare vari mestieri e rimandarci il valore del patrimonio artistico tramite la sua trasmissione ‘Art Rider’.
Luciano Tribiani
Novembre 2, 2023 @ 11:11 am
Mi piacerebbe contattare il dott. Andrea Angelucci per segnalare un sito di antica cultura benedettina nei dintorni di Rieti. Grazie