Andrea Casta: “Musica e arte sono lo stimolo per il miglioramento personale: sono una visione, un punto di vista artistico su quella che è la nostra esperienza di esseri umani in questo mondo. E questo punto di vista deve stimolare le persone a migliorarsi, altrimenti non ha senso”
La sera di Ferragosto abbiamo incontrato Andrea Casta, giovane violinista e promettente musicista che ha scelto l’elettronica come sua espressione musicale.
Allo stabilimento balneare “Il Sombrero” di Terracina, Casta si è esibito con le sonorità che ha scelto di far sue, trascinando il pubblico nelle nostalgiche atmosfere pop, elettriche e dance, tipiche degli anni ’80.
L’abile intrattenitore, che coinvolge il pubblico anche con il canto, crede molto nelle contaminazioni e nelle energie positive. L‘eclettico artista ama il contatto con la propria platea, si è formato al Conservatorio di Brescia e ha una preparazione musicale a tutto tondo che sa “scolpire il suono” in modo innovativo e sempre diverso.
Casta è capace di adattarsi al contesto: gli eventi, infatti, sono sempre diversi a seconda del luogo dove egli si esibisce, caricando l’ambiente di vivacità. Il violinista globetrotter – così si definisce –, inoltre, crede nella simbiosi di arti che “allarga il campo di ricerca e dà grandi stimoli” e allo stesso tempo introduce a un lavoro multidisciplinare che aiuta a crescere a livello artistico, utile sia per se stessi sia per gli altri artisti con i quali si collabora.
Un artista, dunque, che vive appieno lo scambio con il pubblico e ha saputo adattare il violino elettrico al linguaggio musicale contemporaneo e comprensibile a tutti. Casta, infine, cerca di tradurre il suo percorso musicale in un racconto visivo in musica, alquanto particolare e tutto da vedere.
Andrea Casta, ci racconti chi è e qual è la sua formazione
“Ho cominciato a suonare il violino classico a cinque anni, e da quel momento ho sempre affrontato lo studio dello strumento e l’apprendimento musicale con grande curiosità: già da adolescente ho portato il violino all’interno di un gruppo musicale del liceo. In seguito, a diciassette anni, ho sperimentato il violino elettrico e da lì in poi, quando sono diventato – dai vent’anni in poi – un professionista della musica, ho proseguito la ricerca di un linguaggio musicale popolare e comprensibile da tutti adattato allo strumento”.
Come è cominciata la sua carriera?
“Sono partito dalla TV, esattamente come cantante a ‘Domenica In’ nel 2002, poi ho fatto il conduttore, ho scritto per la televisione, ho lavorato per ‘Lo Zecchino d’oro’ e ho fatto dei musical. Sono così passato dalla parola alla scrittura, per approdare infine al canto. Ho quindi un’esperienza precedente al violino che mi ha aiutato a mettere a fuoco la mia attuale espressione artistica”.
Il suo primo disco riprende le sonorità anni ’80: perché questa scelta e come mai riproporre la musica dance?
“Le sonorità anni ’80 sono collegate anche alla mia esperienza di live performer e di music entertainer. Penso che l’intrattenimento musicale – avere cioè dimestichezza con le serate nei locali e con questo tipo di concertistica – tende a far divertire le persone e affonda comunque la radice nella musica anni ’80 e in quel sentimento che evoca l’edonismo di gioia. Nel 2012, quando ho completato il mio primo lavoro, ‘Room 80’ (prodotto e arrangiato da Sergio Cossu, ex tastierista dei Matia Bazar), mi sono dedicato insieme a lui a indagare quel tipo di linguaggio adattato al violino e a quegli anni”.
È stato difficile come esperimento?
“È stato un bel lavoro e molto articolato che ha dato molta soddisfazione. Poi è seguito un tour che è durato più di un anno, sia nei locali sia nei teatri. Da allora il passaggio alla musica elettronica è stato più graduale poiché ho seguito anche tutto quello che avveniva intorno alla mia attività live che è sempre stata protagonista nella mia vita da artista”.
In veste di performer live a che tipo di pubblico si rivolge?
“Mi rivolgo al pubblico giovane, quello delle discoteche, che però abbraccia un target ampio – dagli appena maggiorenni fino ai quarantenni e oltre –. Se poi penso, soprattutto in questo ultimo anno, all’assenza dal mercato della discoteca propriamente detta e intesa, mi sono spinto più sui concerti in piazza e ai riadattamenti teatrali: ritengo che sia un plasmare la stessa materia musicale per un contesto diverso, dove si riesce ad affrontare il pubblico delle famiglie, dei ragazzini e delle persone più adulte, e di conseguenza si riesce ad avvicinare più fasce di età”.
Ha parlato del teatro: come vive tale luogo?
“Il teatro è uno spazio raccolto dove raccontare la musica come narrazione, i video, i visual, l’esperienza fotografica e luminosa. È un bel laboratorio”.
Lei pensa che con la sua musica le persone dai cinquanta anni in su riescano a rivivere un po’ di nostalgia con la cosiddetta “buona musica”?
“Imbracciare il violino non dà la patente per decidere quale sia la ‘buona musica’ o ‘meno buona’, anzi, ho cercato di semplificare l’approccio al violino, rendendolo più fruibile e comprensibile. Sono tuttavia partito da un apprendimento strutturato come si confà alla musica classica per poi personalizzare il percorso strumentale”.
Come è stato il passaggio dal violino classico a quello elettrico?
“Lo strumento è esattamente lo stesso come la tecnica, ma si aggiunge tutta la parte dell’elaborazione del suono attraverso catene di effetti, multi effetti, machiner e computer, per cui si ha una possibilità di personalizzazione ulteriore. Mi sono ispirato molto a tutta la tradizione dei grandi chitarristi solisti: da Brian May a Steve Vai per giungere a Eric Johnson. Anche nel linguaggio musicale del violino ci sono dei precedenti celebri come Jean Luc Ponty, violinista fusion francese degli anni ’70 (che suona con Frank Zappa), il quale ha indagato tutto un percorso che ha a che fare con la fusion, il progressive e il jazz – molto lontano dal mio – ma a livello tecnico ha affrontato quello che è stato anche il mio cammino ovvero prendere un violino e decidere di ‘scolpire il suono’ mediante una parte di processione elettronica per arrivare a una riconoscibilità. È una continua maturazione per trovare il proprio focus e linguaggio, sia nel suono sia nel modo in cui si suona: è un percorso in divenire, in quanto tecnologia ed elettronica sono sempre in cerca di suoni differenti”.
Come vive la sua musica?
“Il mio percorso attuale mi ha portato a vivere la musica come racconto visivo. I video per esempio sono molto importanti non solo perché ‘decorano’ la musica, ma mi permettono anche di narrare dei contenuti culturali. Ho vissuto delle esperienze all’interno dei musei o immerso nella natura, dove ho canalizzato le energie in un racconto musicale, in maniera simbiotica. Questo percorso lo sto ricercando per il futuro”.
Questa simbiosi di arti quanto impegna?
“Allarga il campo di ricerca e dà grandi stimoli. Soprattutto permette di lavorare in team, con altri artisti che ‘vivono’ la tua musica in modo diverso dal tuo. Allo stesso tempo con la musica si possono suggerire delle soluzioni per i diversi linguaggi artistici, e di conseguenza avere idee per il proprio lavoro. Tutto quello che si vede prodotto nei video è frutto di una direzione che ho dato al team, per un lavoro multidisciplinare”.
Ha parlato dell’immersione nella natura: cosa ne pensa dei concerti ecosostenibili, dunque circondati dalla natura?
“Sono molto a favore. È una progettualità interessante: si tratta di eventi a emissioni zero che vanno a coincidere con il concetto di esperienza che si vive in un determinato momento. È un bel campo di sperimentazione”.
Il suo ultimo brano ispira apertura e addirittura esprime una “sensazione solare”. Abbiamo trascorso un periodo difficile a causa dei lockdown dovuti al Covid: vuol dire che con questo suo pezzo, desidera comunicare alle persone il senso di rinascita e di felicità?
“Questa è una delle anime di ‘Good Morning Sun’ che, dal punto di vista musicale, ha in sé una progressione maggiore (a livello compositivo ha fatto la fortuna dei Cold Play, i quali si appoggiano su tali musicalità). È una scelta armonica che è in contrapposizione rispetto l’ambito musicale nel quale mi sono calato – elettro, house, mainstream –, in cui le sonorità scure o notturne hanno spesso la meglio, perché affondano le energie nel flow notturno, il flusso del perdersi e nel ritrovarsi nelle discoteche e nella notte”.
Lei ama molto la notte e di conseguenza si ha l’impressione che le piaccia percepire il pubblico notturno e “sentire” le persone che ballano: è un nutrirsi delle loro energie?
“È assolutamente vero. Cerco di essere un musicista e una persona equilibrata nel senso che, laddove ho una grande passione per la natura e le energie positive, così non rifiuto la mia parte più oscura e quella più notturna che fa da contraltare. Questa ricerca di stabilità la scopro nelle persone che mi trovo davanti quando ho occasione di suonare nelle discoteche e di conseguenza vedo lo sfogo delle persone. Ognuno si sfoga a suo modo, in maniera sana o meno sana, rinunciando a ore di prezioso sonno, ma consapevole di aver riequilibrato con il ballo tutto ciò che è la normalità della vita diurna”.
Pertanto, anche assistere ai movimenti del corpo cattura…
“Cerco per questo motivo di collegare la mia produzione musicale molto vicina a quello che faccio dal vivo, poiché dal vivo c’è un continuo scambio. Non mi esibisco: ricevo energie e le restituisco in un continuo gioco di rimbalzo. È una cosa che si fa insieme, in questo modo creo un dialogo”.
Quanto il pubblico comprende il linguaggio musicale classico e quello elettronico: non è del tutto scontato capirne la differenza e come si può educare la platea a questa innovazione?
“Il mio punto di vista è stato sempre differente: ho cercato di portare, attraverso le canzoni, il violino elettrico all’interno del linguaggio musicale contemporaneo. La gente, secondo me, percepisce se una cosa le piace o no: bisogna andare oltre. Cerco di esprimermi in modo chiaro e di confezionare un prodotto musicale che arrivi alle persone con il mio gusto, rispettando quello che voglio scrivere; cerco al contempo di mettermi nei loro panni. Se la cosa piace, tutto il confronto con la percezione normale del violino o del repertorio dello strumento passa davvero in secondo piano. È un risultato, perché ci si spoglia dai pregiudizi, anche da ascoltatore”.
Le piacerebbe in futuro riadattare dei pezzi classici con il violino elettrico?
“È un’operazione molto delicata. Laddove trovassi lo stimolo per andare a fare una ricerca e portare quei brani ‘fuori’ lo farei con consapevolezza, lucidità e maturazione”.
Cosa pensa del mercato musicale attuale?
“È un mercato che non ha più i margini e i numeri del passato, ma si adegua al consumo musicale del presente: esiste, c’è, sopravvive ed è necessario, quindi un mercato ci sarà sempre. Che poi sia meno redditizio determina una maggiore apertura ovvero tutti possono provare a vivere il loro sogno di musicisti, cantanti o compositori di successo. Tuttavia per vivere di musica si deve articolare la propria presenza non solo su una canzone di successo (come negli anni ’60), ma deve essere un lavoro quotidiano. Servono approfondimento, elaborazione e live. Aggiungerei inoltre il lavoro in studio, la comunicazione e la creazione di un gruppo di lavoro, la costruzione di una propria community di fan, di persone con le quali dialogare”.
Il suo lume musicale?
“David Bowie. Penso sia l’artista che ha anticipato i tempi, riuscendo ad unire il pop estremo a delle ispirazioni più alte e all’approfondimento. È passato dal mimo all’essere attore, a produrre musical nell’ultima parte della sua vita. È un faro, un esempio da prendere in considerazione e dura tuttora”.
Cosa auspica per questa nuova riapertura post–Covid?
“La mia idea è indirizzare l’energia positiva che viene dalle mie esperienze che, con caparbietà, mi sono andato a conquistare nella mia carriera. Le racconto in musica per poi condividerle con il pubblico. Quello che mi aspetto? Che sia io sia gli altri artisti si cerchi di sfruttare ogni singola occasione e ogni singolo concerto con grande attenzione al dettaglio, al particolare, per alzare l’asticella della qualità e della modernità. Ritengo che, prima della pandemia, nella quantità di offerte ci si perdeva un po’ alla ‘faciloneria’. Diversificare dunque è importante come la ricerca della qualità, ognuno con le sue caratteristiche. Pertanto ‘offrire qualità’ significa che musica e arte sono lo stimolo per il miglioramento personale: sono una visione, un punto di vista artistico su quella che è la nostra esperienza di esseri umani in questo mondo. E questo punto di vista deve stimolare le persone a migliorarsi, altrimenti non ha senso”.
Annalisa Civitelli