Annabella Calabrese: “Nelle storie antiche c’è sempre da attingere per raccontare il presente”
La giovane attrice, autrice e regista teatrale durante il periodo di chiusura totale, a causa del Covid–19, si è dedicata al mondo dell’infanzia. Insieme a Daniele Esposito ha riadattato delle fiabe di tradizione italiana con un linguaggio idoneo ai bambini, affinché gli stessi si avvicinassero a questo mondo.
Il suo progetto, “Resto a casa con le Fiabe”, è stato pensato necessariamente per la rete: la prima stagione, di sei puntate, ha riscosso un grande successo di pubblico tra i pargoli costretti in casa.
Annabella Calabrese è da sempre stata attratta sia dal gioco di parole sia dal potere che le storie antiche suscita nell’essere umano. È dell’idea, infatti, che le fiabe, se tramandate in modo efficace, ci aiutano ad affrontare il tempo attuale.
Appassionata di Shakespeare e delle rime – che arricchiscono il vocabolario di ciascuno, non solo dei piccoli –, inventa, è curiosa ed è realista. Una persona poliedrica, insomma, che sa guardare al futuro con passione e desidera che il mondo della cultura sia supportato da idee brillanti rivolte sia al singolo cittadino sia alle piccole e grandi realtà teatrali e non solo.
Una sorta di “invito alla conoscenza” che stimoli la società e la induca a un progresso nel settore culturale, di ampio respiro, dunque, più di quanto lo sia al momento. Un risveglio collettivo consapevole, con uno sguardo rivolto soprattutto alla qualità e alla bellezza, ma anche provocatorio e che pungoli il libero pensiero, di tutti.
Annabella Calabrese, lei in questo periodo di quarantena ha ideato “Resto a casa con le Fiabe” per intrattenere i bambini costretti all’isolamento. Quanti episodi, con la sua compagnia, è riuscita a trasmettere on–line?
“Il progetto ‘Resto a casa con le fiabe’ è nato per intrattenere i tanti bimbi costretti a rimanere in casa durante il lockdown per il Covid–19. La mia idea, dunque, è stata quella di utilizzare alcuni dei testi messi a punto da me e da mio marito, Daniele Esposito, coautore del progetto, durante lo spettacolo itinerante ‘Le Fiabe del Castello’ (realizzato nel Castello di Santa Severa con il contributo della Regione Lazio nell’ambito del progetto ‘Itinerario giovani’) ed elaborarne una versione sceneggiata per la rete, nella quale ogni attore interpretava il proprio personaggio, ma a distanza dagli altri, senza oggetti né costumi. Dopo il grande successo della prima puntata molti bambini hanno cominciato a chiederci altre fiabe e così siamo arrivati a creare una serie web da sei puntate di circa venti minuti ciascuna, ognuna dedicata a una diversa favola della tradizione italiana: la ‘Gatta Cenerentola e la maledizione della rima’ e ‘Le due vecchine’ rispettivamente ispirate da la ‘Gatta Cenerentola’ e ‘La vecchia scorticata’, entrambe di Basile. Seguono due fiabe di origine popolare: l’una di origine bolognese ‘Giricoccola e le sue perfide sorelle’, ripresa da ‘Giricocola’, e l’altra pugliese, dall’omonima ‘La fiaba dei gatti’. Infine, rientra in scena Basile con i racconti ‘Faccia di Capra’ e ‘Toni il fannullone’, che ha ispirato ‘Il racconto dell’orco’. In questo momento possiamo affermare che la prima stagione si sia conclusa, non escludiamo però un ‘ritorno’ per una seconda anche a lockdown terminato“.
I testi da voi recitati sono stati ripresi da favole originali o li ha scritti lei?
“Le fiabe raccontate sono tutte di ispirazione popolare (e per questo, ovviamente, scritte in prosa dagli autori che le hanno raccolte). Come tutte le fiabe popolari, però, i testi originali contengono elementi che non sono molto adatti ai bambini di oggi: questo accade anche per i classici sceneggiati e adattati dalla Disney (per esempio ‘Biancaneve’ dei fratelli Grimm o ‘La Sirenetta’ di Andersen). Per questa ragione Daniele Esposito ed io siamo partiti dai testi preesistenti: abbiamo però apportato dei cambiamenti importanti, adattando le fiabe a un pubblico di bambini in età pre–scolare e scolare, tramite l’inserimento di scene comiche o di momenti surreali. La scrittura dei dialoghi, inoltre, è ovviamente del tutto originale e ideata da noi autori”.
In che termini i testi originali delle favole contengono elementi che non sono molto adatti ai bambini di oggi?
“Inizialmente i destinatari delle fiabe non erano solo bambini, ma individui facenti parte, per lo più, della classe contadina. Per questo nelle storie originali spesso sono presenti elementi macabri che un bambino di oggi non riuscirebbe a elaborare. Ad esempio ne ‘La vecchia scorticata’, la seconda sorella, quella che non viene trasformata in giovane dalle fate, si fa scorticare dal falegname pur di diventare bella come la sorella; ne la ‘Gatta Cenerentola’ la piccola Zezzola, su consiglio della maestra, uccide la prima matrigna chiudendole la testa in un baule. I destinatari all’epoca erano diversi e per questo un efficace lavoro di adattamento deve partire, innanzitutto, da un’individuazione precisa del target di riferimento che, nel nostro caso, sono bambini dai 3 ai 10 anni, con una sensibilità per cui alcuni elementi originali non sarebbero accettabili”.
Quanto è importante, attualmente, tramandare la tradizione popolare?
“Le fiabe ci insegnano a vivere grazie all’insegnamento di ‘morali’ che continuano ad essere valide nel tempo anche a distanza di anni dalla loro ideazione. La fiaba di Toni, ad esempio, insegna ai bambini che chi non studia e non lavora può essere facile vittima per approfittatori, quella di Giricoccola, invece, che l’invidia non porta a nulla e che l’eccessiva curiosità può essere pericolosa. Ogni fiaba racchiude un insegnamento e per questo, se tramandata in maniera efficace, può aiutarci ad affrontare il presente e può rappresentare una risorsa preziosa”.
Qual è stata la sua formazione teatrale?
“Mi sono affacciata al mondo del teatro all’età di quattordici anni con un corso di formazione professionale tenuto dal Teatro Abeliano di Bari. Una volta terminato questo percorso ho capito che questa sarebbe stata la mia professione e così, appena maggiorenne, mi sono trasferita a Roma e mi sono diplomata prima all’Accademia d’arte Drammatica ‘Pietro Scharoff’ e poi all’Accademia Europea d’arte Drammatica ‘Link Academy’ dove ho approfondito lo studio della recitazione in lingua inglese. Al mio percorso formativo si sono aggiunti, inoltre, tantissimi stage con maestri nazionali e internazionali come Ryan Ellsworth di Cheek by Jowl, Craig Peritz del Living Theatre, Chiara Guidi della Societas Raffaello Sanzio e tanti altri”.
Tale percorso le ha fatto prediligere il teatro dedicato al mondo dell’infanzia?
“Diciamo che per quanto riguarda la mia attività registica le mie produzioni spaziano tra generi molto diversi. Sicuramente la presenza di Shakespeare, al centro della mia ricerca da anni, è un elemento distintivo. Mi sono dedicata anche a commedie originali come ‘Ctrl Z–Indietro di una mossa’ o ‘Accessoriate’ o a testi sociali come ‘Mani Intrecciate’ di Vincenzo Perez. Posso dire che il teatro per bambini e per ragazzi si è sempre affiancato a questa grande varietà. Ciò che mi prefiggo, in particolar modo, è arrivare alle generazioni di oggi – in continuo mutamento – comunicandogli storie antiche, ad esempio gli spettacoli di Shakespeare adattati per loro, sempre in lingua originale (progetto ‘Shakespeare for teens’) o l’interpretazione di fiabe tratte dal nostro patrimonio popolare, spesso, purtroppo, dimenticate”.
Come è nata l’inclinazione per le “storie antiche”?
“Sono nata in una famiglia che ha sempre stimolato il mio arricchimento culturale. Uno dei primi libri che mi regalò mio padre parlava dell’Olimpo e degli dei dell’Antica Grecia (da piccola conoscevo tutti i miti e tutte le divinità). Mio nonno, invece, mi ha introdotto nel mondo di Shakespeare attraverso ‘I capolavori animati’ della BBC e da lì è partita quest’altra mia grande passione. Credo che nel passato e nelle storie antiche ci sia sempre qualcosa da cui attingere per raccontare il presente in cui viviamo: lo insegna Shakespeare che spesso si ispirava a storie preesistenti per stravolgerle e adattarle al suo presente”.
Con quale tipo di linguaggio bisogna approcciare i più piccoli affinché avvicinarli al teatro?
“In realtà ritengo che i bambini, come gli adolescenti, siano gli spettatori più veri e sinceri. Non sono educati a ‘rimanere attenti’ se lo spettacolo non gli piace e per questa ragione bisogna dare il massimo per cercare di coinvolgerli e rendere le vicende a cui assistono affascinanti. Un altro elemento peculiare delle mie produzioni per l’infanzia è quello di stimolarli attraverso l’utilizzo di un linguaggio piacevole e ricco, spesso in rima, che li possa così spronare ad apprendere parole nuove e a utilizzarle all’interno del loro vocabolario”.
Quanto le rime sono rilevanti e quanto aiutano ad ampliare la propria terminologia?
“Le rime fanno capire ai bambini che è possibile giocare con le parole. Per questo accrescere il loro vocabolario diventa un gioco e non un’imposizione dall’esterno. I bambini di oggi, purtroppo, sono poco abituati a giocare con le parole e ad ampliare il proprio linguaggio. La didattica, a mio parere, dovrebbe stimolarli maggiormente in tal senso, aiutando la loro fantasia che purtroppo, a causa di troppi stimoli esterni, è spesso limitata”.
Ora che siamo quasi prossimi alla riapertura totale pensa di poter organizzare dei mini spettacoli adatti ai bambini all’aperto oppure sempre virtualmente?
“Stiamo valutando, con varie realtà, la possibilità di tornare in scena con il nostro spettacolo ‘Le fiabe del Castello’, che si è tenuto all’interno del Castello di Santa Severa. Abbiamo avuto un grande riscontro di pubblico e, per questo motivo, ci è stato richiesto da tantissime famiglie”.
Quanta risposta di pubblico ha avuto la sua idea “Resto a casa con le Fiabe” e come hanno reagito i piccoli spettatori seppur lontani?
“Considerando che il nostro è un ‘progetto no profit’ e, dunque, non abbiamo investito in pubblicità, la risposta è stata davvero impressionante. Forse anche grazie al lavoro del nostro Ufficio Stampa, Maresa Palmacci, la quale ha preso parte all’idea in maniera totalmente gratuita. Abbiamo ricevuto messaggi da tutta Italia, anche da molti bambini italiani all’estero, che ci hanno chiesto sempre nuove fiabe e ci ringraziavano per il nostro lavoro. Devo ammettere che è stato davvero commovente!”
Quanta passione emanano i bambini nei confronti del teatro e quanto possono apprendere da questo mondo “fantastico” e dove ci si “guarda allo specchio”?
“Il teatro rappresenta la vita e per questo ci insegna a essere degli individui migliori. Per questa ragione è fondamentale per i più piccoli essere educati da subito al teatro, perché ritengo che una buona esperienza in questo settore, in età giovane, li condizionerà per tutta la vita, portandoli al desiderio di coltivare lo studio, come la cultura”.
In che modo ha vissuto questa esperienza virtuale?
“È stato un esperimento interessante. All’inizio c’erano delle perplessità. Non sapevamo se questo strano ‘decoupage’ di attori che interpretavano le loro battute ognuno a casa propria avrebbe funzionato, tuttavia mi sono detta ‘Proviamoci!’. Devo ammettere che quando ho visto la prima fiaba montata mi sono emozionata, perché è stato un po’ come sentirci vicini – parlo di noi attori – nonostante la distanza che ci veniva imposta. È stata un’esperienza molto bella, anche se ha richiesto mesi di lavoro intensi. Speriamo pertanto di avere la possibilità di portare avanti il nostro progetto, magari grazie alla partnership con qualche emittente”.
Lei è giovane: quali sono le sue aspettative verso il teatro e quale futuro si immagina in questo settore?
“Questa domanda mi fa abbastanza sorridere, poiché credo che la nostra società sia un po’ vittima di questo ideale di ‘eterna giovinezza’. Non voglio certo negare la mia giovane età, ma vorrei ragionare sul fatto che Shakespeare, ad esempio, alla mia età scrisse ‘Romeo e Giulietta’. Ciò che voglio dire con questa premessa è che noi ‘giovani’, che in questo paese rientriamo nelle persone under 35, dovremmo forse prendere maggiormente in mano le nostre vite e far sì che il mondo circostante ci desse realmente ascolto. Il teatro, come il cinema, è un settore già in crisi da tempo in Italia. È difficile riempire le platee teatrali, così come le sale cinematografiche, e credo che la situazione attuale sia destinata a peggiorare. Posso considerare che ci sarà maggiore diffidenza da parte degli spettatori che temeranno il contagio e comunque le regole di distanziamento non permetteranno di riempire gli spazi suddetti nella loro totalità. Il settore era già in crisi e i recenti avvenimenti rischiano di dare il colpo di grazia. Sono necessarie, per questo, delle misure per sostenere la cultura, soprattutto verso le piccole realtà. Il nostro paese deve attuare una grande ‘opera di trasformazione’, puntare sulla cultura, sull’incoraggiamento alla conoscenza, che si tratti di teatro, di arte o di storia. Una soluzione, a mio parere, potrebbe essere una sorta di ‘Carta della Cultura’ per il cittadino, una sorta di agevolazione fiscale per chi spende in cinema e teatro: una detrazione simile a quella che avviene, per esempio, nella dichiarazione dei redditi per i medicinali mediante la tessera sanitaria. Una ‘Tessera Culturale’ volta a sostenere soprattutto le piccole produzioni e piccole realtà potrebbe aiutare il mondo dello spettacolo a rialzarsi. Ovviamente è solo un’idea ma credo che si debba puntare su iniziative di questo genere. Il futuro che mi piace sognare per il nostro settore? Una società che abbia fatto progressi nel settore culturale: che dia più possibilità alle piccole e grandi produzioni di andare in scena e divulgare cultura, senza dover per questa ragione perderci (come accade alla stragrande maggioranza delle produzioni che conosco)”.
Annalisa Civitelli