Antonio Fazzini:
“Porto in scena un testo di teatro civile a favore delle donne”
L’attore diretto da Filippo Renda porta in scena il racconto di una storia realmente accaduta nell’Algeria devastata dalla guerra civile. Tratto dal racconto di Assia Djerbar, la quale ha sempre “assunto posizioni scomode contro il fanatismo religioso e ha denunciato i danni del colonialismo”.
Fazzini dunque interpreta un testo intenso e prettamente al femminile, in cui si dipana lo stile della letteratura araba, in un susseguirsi di emozioni e di evocazioni.
Dai registri soprattutto sociali, lo spettacolo è frutto di un’idea nata alla Casa Internazionale delle Donne di Roma (2015), per essere poi realizzato a Firenze l’anno successivo dal Teatro delle Donne e presentato al Festival Avamposti (Calenzano).
Con questa rappresentazione si vuole attirare l’attenzione del pubblico favorendo sia spunti di riflessione, sia guidandolo per mano verso una comprensione profonda sulla condizione delle donne che, oggi giorno, viene sempre più abusata nel mondo.
L’autrice, infatti, ha sempre creduto nelle sue battaglie contro l’orrore del fondamentalismo e, inoltre, è stata più volte candidata al Premio Nobel per la letteratura.
Antonio Fazzini, “La donna fatta a pezzi” è un testo di Assia Djerbar. Chi era?
“Assia Djebar è stata una delle più importanti scrittrici magrebine di lingua francese. È stata la prima donna algerina a entrare all’Académie française”.
Ha avuto l’opportunità di lavorare con lei. Che donna è stata?
“Una donna che si è sempre spesa per la condizione delle donne in Algeria e non solo. Ha anche assunto posizioni scomode contro il fanatismo religioso e ha denunciato i danni del colonialismo”.
Di cosa parla questo testo?
“Assia Djebar parte dall’omonimo racconto de “Le Mille e una notte” e lo riscrive, facendolo raccontare in aula dalla giovane professoressa Atika nell’Algeria degli anni ’90, insanguinata dalla guerra civile”.
Nel comunicato si parla di “scatole cinesi”. Ci puoi anticipare in che modo il regista si è servito di questo escamotage per un racconto cosi profondo?
“Come ho detto, il racconto viene di volta in volta ripreso da vari narratori che, a loro volta, iniziano un nuovo racconto. E c’è una mela che, passando di mano in mano, è la causa della tragedia. Il regista Filippo Renda, che ha anche adattato il testo, mi mette in scena davvero con una serie di scatole colorate alle quali io do vita e che diventano i personaggi del racconto”.
A suo avviso cosa lascia allo spettatore questo spettacolo?
“Vari spunti di riflessione. Il racconto si presta a vari livelli di lettura. Si può semplicemente seguire il travolgente fluire della storia ma anche meditare sul pregiudizio, sull’ignoranza, sulla difficile condizione della donna”.
Lei è da solo in scena in questa avventura. Che emozione si prova?
“Una bellissima emozione. Anche se in realtà gli oggetti ai quali do vita e il pubblico stesso diventano miei compagni di scena”.
La produzione è “Teatro delle Donne”, di che realtà si tratta?
“Il ‘Teatro delle Donne’ opera nell’area fiorentina da oltre 25 anni ed è una realtà conosciuta a livello nazionale e non solo. È un centro di drammaturgia contemporanea e scommette su produzioni inedite, come in questo caso”.
Ha progetti futuri? Le va di raccontarceli?
“Ci sono progetti di nuove collaborazioni con Filippo Renda, il regista de ‘La donna fatta a pezzi’, la ripresa di uno spettacolo su Tiziano Terzani e una nuova edizione di uno spettacolo con la regia di Barbara Porta con il quale siamo stati la scorsa stagione proprio a Stanze Segrete e che quest’anno ci vede in cartellone al Teatrosophia, una nuova realtà che mi incuriosisce molto”.
Marta Astolfi