Antonio Sinisi: “Il teatro è arte multidisciplinare che può comprendere altre forme di linguaggi artistici”
La prossima settimana al teatro Trastevere di Roma – dal 30 novembre al 4 dicembre – andrà in scena uno spettacolo che mette in relazione arte e teatro, appunto: “Hopper Mode”.
Dalle tele si passa quindi al palcoscenico dopo una lunga ricerca sull’artista Edward Hopper, esponente del realismo americano e famoso per i suoi quadri della solitudine nell’American way. A tal proposito abbiamo incontrato il regista Antonio Sinisi.
Figura poliedrica opera nel campo teatrale sin dal 1999. Oltre a dirigere laboratori formativi e didattici, Sinisi organizza eventi culturali, ha ricevuto molti Premi in ambito teatrale e, nel 2020, fonda la collana digitale, “Opere da tre soldi”, che si occupa di testi teatrali.
All’interno di “Hopper Mode”, duqnue, Sinisi apporta la sua esperienza nella messa in scena studiata alla perfezione. Nulla è lasciato al caso in quanto lo studio sul pittore statunitense è stato intenso, al fine di costruire una pièce suggestiva, partendo dal dare vita a ciò che accade prima e dopo le opere di Hopper.
L’idea dello spettacolo nasce dalla lettura del libro di Marco Andreoli, testo che ha molto materiale da scoprire e il regista riesce, attraverso la sua visione, a costruire nello spazio un insieme che combina l’idea dei dipinti e la vita americana negli anni ’60.
Un lavoro che si permea intorno al senso della luce: elemento essenziale della pittura dell’artista americano, che colpisce e incuriosisce Sinisi, tanto da utilizzarlo in scena.
Uno stimolo per il regista stesso, Hopper, che gli ha fornito un metodo di osservazione ad ampio spettro sia nel guardare in profondità dentro di sé sia nell’implementare questo sistema nel suo lavoro affinché renderlo efficace.
Uno spettacolo – quasi una pièce in 3D che apre le porte alla sperimentazione -, infine, che può di certo donare suggestioni al pubblico e incitarlo a frequentare i musei, per apprendere il valore della Storia dell’Arte.
Antonio Sinisi, lei è da molto tempo che opera nel settore teatrale: come nasce l’idea di “Hopper Mode” e in che modo ha apportato la sua esperienza all’interno dell’organizzazione?
“Nasce dalla lettura del testo scritto da Marco Andreoli nel 2005 e finalista al Premio Scenario, e dalla necessità di esplorare quello che il testo dice tra le righe e ‘Hopper Mode’ ha tantissimo materiale da scoprire al di fuori delle parole. Il mio apporto per tutto questo è sempre lo stesso da sempre: impegno, disciplina, cuore e anche ossessione ovvero fare semplicemente il regista nel 2022”.
Si parla di Hopper, l’artista americano il quale, con le sue figure inglobate negli spazi, ha reso celebre la sua pittura: come è stata concepita la rappresentazione dal vivo?
“La messa in scena di ‘Hopper Mode’ è tutto un lavoro nello spazio, tutte le figure in scena dipingono situazioni e disegnano movimenti o trovano le loro sospensioni. Figure, spazio e tempo compongono lo spettacolo rendendolo vivo”.
Cosa vi ha spinto a dare vita ai quadri di Hopper?
“Abbiamo lavorato molto sul dare vita a quello che succede prima e dopo i quadri di Hopper. Nello spettacolo ci sono degli accenni ai quadri, alle posture dei personaggi, all’aria che c’è tra i corpi. C’è un lavoro sulla luce. Mai ci siamo dedicati a imitare il quadro e mai abbiamo voluto rappresentare e illustrare un artista come Hopper. Bastano i suoi quadri. Ci interessava dar vita alle suggestioni dalle visioni delle opere dell’artista americano”.
In che modo avete lavorato sulla luce: si può svelare oppure lo scopriremo andando a vedere lo spettacolo?
“È sicuramente un lavoro che si vedrà a teatro. In ogni caso la luce è stato un elemento che mi ha colpito parecchio in Hopper e dunque l’ho sempre tenuto come pallino fisso nel montaggio delle scene e ho fatto diversi sopralluoghi al teatro Trastevere, per capire come posizionare le luci sulla scena di ‘Hopper Mode’. Alcune scene, infatti, sono state impostate tenendo conto dei tagli possibili. Sarà comunque tutto da scoprire, dalla prima in poi, poiché l’intero allestimento sarà completo solo un giorno prima del debutto.”
Ci troviamo negli anni ’60: con questa pièce volete anche raccontare la realtà americana di quel periodo?
“Gli USA anni 60 sono un pretesto. Sicuramente ci sono delle citazioni importanti per quanto riguarda i costumi e gli oggetti, ma più che altro si vuole fare emergere come una cultura dominante, quella statunitense, si proietta su le altre culture occidentali ad esempio qui in Italia. Quindi ci troviamo ovunque direi”.
Da che punto siete partiti e per giungere dove?
“Siamo partiti dal testo di Marco Andreoli, lo abbiamo esplorato, poi abbiamo approfondito Hopper, attraverso le sue opere. Abbiamo cercato di vedere e guardare. Dove giungiamo ce lo dirà il debutto e l’incontro con il pubblico”.
Quanta ricerca è stata fatta per presentare sul palco “Hopper Mode”?
“Non poca. Nella prima parte delle nostre prove abbiamo fatto solo training dove abbiamo cercato di vedere, come ho detto prima, abbiamo lavorato sulla narrazione interrotta che ci suggeriva Hopper”.
Che cosa intende per narrazione interrotta?
“Faccio un esempio. Nel quadro ‘Cape Cod Morning’ – (1950) vediamo una donna, nella metà sinistra del dipinto, protesa verso la finestra a guardare. La ‘narrazione’ si interrompe nel momento in cui non sappiamo cosa la donna stia guardando. E credo sia una scelta voluta da parte di Hopper, che non ha nessun motivo di farci sapere nulla a riguardo. La ‘narrazione’ dunque si interrompe, ma l’artista ci responsabilizza a cercare qualche cosa nel quadro. Probabilmente qualche cosa che coinvolge anche noi nel nostro intimo oppure altro che si trova nella metà di destra dell’opera dove ci sono gli alberi. Nelle tele di Hopper succede quello che accade in ‘Aspettando Godot’. Chi è Godot? “Non lo so – risponde Beckett – altrimenti l’avrei inserito come personaggio”. Laddove finisce il quadro inizia il viaggio di chi guarda“.
Hopper, in qualche modo, voleva stimolare la nostra mente: perché secondo lei?
“Di preciso non lo so. Posso dire quello che ha suscitato in me: mi ha restituito lo stimolo a guardare in profondità, scoprire e, soprattutto, mi ha dato la conferma che, talvolta, è necessario fermarsi e sospendersi per comprendere cosa c’è intorno a noi. Tutto questo mi è ovviamente utile a livello lavorativo, Fermarsi, osservare tutti gli strati, pensare, agire.”
Quale messaggio intendete rimandare al pubblico?
“C’è un messaggio intimo sicuramente, ma visto che è intimo me lo tengo per me fino al 4 dicembre. In ogni caso ‘Hopper Mode’ ha tanti messaggi, secondo me. Ogni spettatrice e spettatore deve essere libero di trovare il proprio”.
Questo spettacolo è una maniera di portare l’arte a teatro per avvicinarla a un pubblico più ampio?
“Se parliamo dell’arte pittorica, personalmente, mi sono sempre servito di quadri come suggestioni per il lavoro di ricerca e per la scena. Nel caso del nostro lavoro che ha nel titolo il nome di un grande pittore potrebbe certo incuriosire chi frequenta pinacoteche e sarebbe splendido!”
Dunque, quale connubio esiste tra arte e teatro?
“Il teatro è arte multidisciplinare che può comprendere altre forme d’arte”.
Cosa può insegnarci “Hopper Mode”: un modo di osservare la vita?
“Possibile. E anche osservarsi”.
Annalisa Civitelli
Ringraziamo Antonio Sinisi per la sua disponibilità all’intervista e per l’appassionata chiaccherata.