Aurelio Grimaldi:
“Piersanti Mattarella al centro del mio affresco della storia”
Scrittore, regista, sceneggiatore e insegnante elementare, l’autore siciliano esordisce con il romanzo “Mery per sempre” da cui Marco Risi ha tratto il film omonimo nel 1988. Nel cinema ricordiamo: “Ragazzi fuori”;, “Uomo di rispetto”; “La discesa di Acla a Floristella”; “La ribelle” (che ha lanciato Penelope Cruz); “Le Buttane”; infine “Nerolio”, tratto dall’opera di Pier Paolo Pasolini e “Iris e Rosa Funzeca” sul caso Aldo Moro.
Dal 2 luglio è al cinema con “Il delitto Mattarella”. La pellicola parte da quel fatidico 6 Gennaio 1980, quando dei colpi di pistola crivellarono il vetro della macchina del Presidente della Regione Sicilia, uccidendolo a sangue freddo.
Aurelio Grimaldi, da sempre interessato alla politica e agli intrighi ad essa connessi, ha scelto una “struttura narrativa ad affresco”: l’omicidio di Piersanti Mattarella è l’evento centrale da cui partono gli altri avvenimenti collaterali.
L’opera è frutto di numerose ricerche tra atti processuali, rinvii a giudizio, sentenze e saggi dedicati alla figura di Mattarella. È stato molto difficile condensare tutto il materiale raccolto in un lungometraggio e raccontare solamente gli ultimi due anni della vita del Presidente, che vedono protagonisti nell’opera tutti attori siciliani perché, secondo Grimaldi, sono i più adatti a raccontare la loro terra e le figure politiche che hanno segnato la sua storia.
Per il regista è fondamentale conoscere la “storia contemporanea” tanto che auspica che la materia si insegni tutti gli anni di scuola, non solo l’ultimo. Convinto che “il compito di memoria della storia resta prioritario”, il suo film è un esempio che può insegnare a tanti. Il lungometraggio non è meramente commemorativo ma, insieme al libro scritto in contemporanea, è un prezioso documento su una persona che ha dedicato tutta la vita alla politica e alla lotta alla mafia.
Aurelio Grimaldi, il film “Il delitto Mattarella” nasce dal suo libro omonimo o prende spunto dal testo stesso?
“È avvenuto tutto in contemporanea. Studiavo montagne di documenti, che cercavo di sintetizzare a favore della sceneggiatura, ma anche a favore di una ricostruzione storica di quel periodo, che ne fosse la base concreta e insieme concettuale. Dalla mole di documenti deriva il libro, che mi ha permesso di selezionarli e riordinarli, e quindi di ricostruire un periodo storico e politico siciliano, ma al contempo nazionale. Dal libro e da questo tipo di lavoro ‘analitico’ nasce la sceneggiatura, che a sua volta ha imposto, per la durata massima di cento minuti tradizionalmente pensati per un film, un’ulteriore faticosa e dolorosa scrematura dei tantissimi fatti attorno alla figura di Piersanti Mattarella. Aveva ragione Falcone quando, nel 1988, fu convocato dalla Commissione Antimafia, mentre ancora stava indagando sulla sua morte: ‘Per indagare sull’omicidio di Mattarella è stato necessario ricostruire un intero momento storico e politico’”.
Come è nata, poi, l’idea del lungometraggio?
“Come regista, per di più di una certa età, non riesco ancora a vedere e considerare il cinema se non come lungometraggio. Non solo sono scettico verso i corti, ma lo sono anche verso le serie TV, che esamino con riluttanza e solo dopo consigli e pressioni di amici e collaboratori. Pertanto, quando nel 2015 fu eletto presidente della repubblica Sergio Mattarella, decidendo di tentare di realizzare questo mio film, mi misi subito al lavoro finalizzato solo alla sceneggiatura del lungometraggio. Ma come ho detto, il lavoro di documentazione si rivelò talmente imponente che il progetto di scrittura del libro avvenne di fatto in parallelo: con il libro che si trovava sempre a precedere e via via modificare la sceneggiatura stessa”.
Perché si è scelto di raccontare proprio l’arco di tempo tra il 1979 e il 1980?
“È stata un’impresa difficilissima e assai faticosa concentrare i fatti raccontati nel film in questi soli due anni. Piersanti Mattarella, nonostante la giovane età, era stato un vero enfant prodige della politica, e sarebbe stato davvero interessante raccontare anche tutte le tappe di questa formidabile ascesa di un soggetto particolarmente talentuoso. Così, nelle varie versioni della sceneggiatura, ho continuamente inserito nuovi fatti e cancellato altri. Per esempio avevo inserito la scena dell’omicidio del giudice Gaetano Costa nella centralissima via Cavour di Palermo, pochi mesi dopo l’omicidio di Piersanti. Purtroppo, però, ho dovuto infine eliminare quella scena con una precedente che ricordava l’impegno di Gaetano Costa alla procura di Palermo. Non mi do pace che un servo dello Stato del livello di Costa sia stato totalmente dimenticato dall’opinione pubblica non soltanto nazionale ma anche siciliana. L’ho però ricordato nei cartelli finali: almeno questo”.
Verso la fine del film rivediamo la sequenza della fatidica mattina del 6 gennaio 1980. Ci può spiegare il motivo di questa scelta e in che cosa si differenziano i due segmenti narrativi?
“Mi sono imposto di seguire il modello narrativo del film ‘Il caso Mattei’ del maestro Francesco Rosi. È quella che chiamo una ‘struttura ad affresco’ in cui al centro del quadro c’è l’evento tragico (lì l’incidente aereo di Mattei; qui l’assassinio di via Libertà a Palermo), ma prima e dopo l’evento centrale si compone un insieme di fatti che, nelle speranze più che nelle ambizioni dell’autore, dovrebbero ricomprendersi in un insieme compiuto. In questa struttura di andate e di ritorni mi è sembrato necessario, per aiutare lo spettatore a non perdersi in questa cronologia del prima e del dopo, ricordare il punto fermo di tutta questa storia: quell’infame delitto in una strada prestigiosissima di Palermo”.
Cosa ha determinato la scelta di un cast interamente siciliano?
“Già in passato avevo spesso stigmatizzato l’abitudine di raccontare storie del tutto siciliane utilizzando attori ‘continentali’ – come diciamo noi isolani – che si sforzavano, con alterni risultati, di imitare i suoni e le cadenze siciliane. Avevo e ho più volte ripetuto che Luca Zingaretti è sicuramente un ottimo attore, ma il personaggio di Montalbano di Camilleri lo avrei assegnato ad un siciliano. E se dovessi girare una storia friulana o, come ho fatto, una storia ambientata a Napoli, trovo logico e produttivo scegliere attori che utilizzino il loro specifico, sonoro ed espressivissimo linguaggio per raccontare una storia della loro comunità. Voglio aggiungere che il co–produttore del mio film aveva da subito condiviso questa mia decisione irrevocabile, tuttavia durante la preparazione provò ugualmente a propormi alcuni attori continentali di valore asserendo una loro capacità di esprimersi in un corretto siciliano. Sotto questo punto di vista sono stato irremovibile. E oggi sono molto contento che i personaggi siciliani di questa storia siano interpretati da attori che sanno riprodurre i suoni speciali della loro terra”.
In che modo è avvenuta la documentazione per stendere la sceneggiatura? Quali fonti sono state consultate maggiormente?
“Le fonti sono state di due tipi: una mole immensa di atti giudiziari, istruttorie, rinvii a giudizio, sentenze, opposizioni, sui i due filoni del processo che Falcone chiamò ‘sui delitti politici’ (Reina, Mattarella, La Torre) e su quello del processo contro Giulio Andreotti, all’interno del quale il delitto Mattarella è un passaggio importantissimo. A questo interminabile filone di documentazione ho ovviamente aggiunto o studio dei pochissimi saggi dedicati a Piersanti Mattarella, al momento solo tre (sicché il mio libro risulta il quarto di questa breve lista), e testi di storia siciliana di quel periodo. Ho anche chiesto, e cordialmente ottenuto, un incontro, mentre scrivevo la sceneggiatura, a Bernardo Mattarella, figlio di Piersanti, a Pietro Grasso che fu il giovanissimo sostituto procuratore di turno quella mattina festiva del 6 gennaio 1980 e che, per questo, ne iniziò le indagini, e a Leoluca Orlando, consulente del gruppo di ferventi collaboratori di Piersanti Mattarella”.
Nel film vediamo anche l’omicidio di Pio La Torre. Quanto è stata importante la sua figura in quegli anni?
“Uno degli aspetti storici, ma anche politici e morali, che riguardano l’omicidio di Piersanti Mattarella è la formidabile collaborazione che Mattarella istituì con il partito comunista siciliano. La giunta Mattarella del 1978 fu la prima ad avvalersi dell’appoggio ufficiale del Pci, precedendo l’esperienza nazionale del governo di Giulio Andreotti, patrocinato da Aldo Moro e con la collaborazione di Enrico Berlinguer. Ma se a livello nazionale quella collaborazione fu a mio avviso vagamente forzata, in Sicilia l’intesa tra Mattarella e il partito comunista fu solidissima e preziosissima, non per niente gli oppositori democristiani di Mattarella lo accusavano proprio di questo: di fare comunella con i comunisti anziché con loro, e di farsi proteggere a Roma dal presidente della Repubblica partigiano Sandro Pertini, dal segretario galantuomo della democrazia cristiana e dal capo del governo Cossiga. L’omicidio La Torre è stato altrettanto grave, per le sorti della Sicilia, quanto quello di Mattarella. E non potevo dimenticare l’aspetto della collaborazione proficua col partito comunista concluso con la tragica eliminazione sia di Mattarella sia di La Torre, come passaggio fondamentale dell’affresco narrativo che mi ero proposto”.
Quanto possono apprendere i giovani oggi dalla visione del film?
“Da ottobre conto di girare più scuole possibili proponendo ‘Il delitto Mattarella’ agli studenti di quarta e quinta superiore. È chiaro che si troverebbero davanti a fatti e nomi al loro pressoché sconosciuti. Se il cognome Mattarella, grazie al presidente Sergio, e al loro familiare, persino i nomi di Andreotti e Pertini potrebbero essere al loro quasi ignoti. Sono stato insegnante per dodici anni e ancora adesso, quando sono invitato nelle scuole, esordisco dicendo agli studenti: ‘ricordatevi che sono sì un ex insegnante, ma per me un vero insegnante non è mai ex’”.
Infine, quanto ritiene fondamentale l’insegnamento della storia nelle aule scolastiche?
“All’interno della formazione dei nostri studenti, ma anche dei miei figli, il compito di memoria della storia resta prioritario. Come ricordo sempre agli studenti, non è un caso che le materie fondamentali di tutte le scuole italiane e mondiali siano la propria lingua, la matematica e la storia. Ed è da quando facevo l’insegnante, alcuni decenni fa, che propongo e ripropongo lo studio della ‘storia contemporanea’ come materia obbligatoria di tutti gli anni scolastici – per tutte le scuole – sganciandola dunque dalla solita storia generale, organizzando così un anno di storia antica, di storia romana, di storia medievale, di storia moderna e infine di storia contemporanea a prescindere dall’andamento cronologico, che non è indispensabile trattando tematiche e fatti così vicini alla nostra vita”.
Maria Vittoria Guaraldi