Un interessante testo scritto da Vincenzo Manna trova spazio sul palco della Sala Umberto di Roma. Interpretato da un cast di giovanissimi, “La classe” tocca corde significative e sensibili non riuscendo però a prendere le distanze da circostanze troppo stereotipate e già viste pur mantenendo la nobiltà di fondo della storia
In una cittadina europea devastata da criminalità, disuguaglianze, ingiustizie sociali e disagio, una scuola superiore asettica e deprimente organizza un corso di recupero pomeridiano per studenti particolarmente problematici e sospesi per motivi disciplinari. Albert, un insegnante di storia poco più che ragazzo ed incaricato di condurre il corso, avrà allora a che fare con sei studenti turbolenti ed emarginati che dimostreranno immediatamente tutta la loro ostilità verso il docente ma, col passare delle settimane, coinvolti da Albert stesso nella realizzazione di una ricerca sugli adolescenti vittime dell’Olocausto, i sei giovani cambieranno prospettiva verso le proprie vite e verso la scuola. Tutto sarà però reso più complicato da “lo zoo”, un campo profughi gigantesco ed ingestibile che si trova proprio a pochissimi chilometri dall’istituto scolastico.
A fronte di un lavoro senza dubbio ispirato, complesso e scritto con le migliori intenzioni, lo spettacolo soffre una presenza esagerata di stereotipi e di fatto l’intera messinscena, e ancor di più la recitazione, esasperano condizioni che nell’immaginario collettivo si ripetono sempre nello stesso modo: ecco quindi un insieme di ragazzi discriminati ed incompresi tra i quali c’è il giovane di colore amantedella breakdance, lo zingaro con un improbabile taglio di capelli ed il bullo violento.
Tutto questo banalizza parecchio un’opera che in realtà nelle premesse è molto interessante, “La classe” infatti è una storia all’interno della quale la vera protagonista è la speranza, la ricerca dell’ottimismo, del futuro. Purtroppo però la drammaturgia cade continuamente in luoghi comuni e oltretutto si avvicina rischiosamente alle atmosfere di celeberrimi film quali “L’attimo fuggente” o “Pensieri pericolosi”.
Se da un lato la regia di Giuseppe Marini sperimenta un linguaggio abbastanza insolito organizzando una scenografia che costringe ad una certa staticità, un uso delle luci cupo e nevrotico ed un accompagnamento musicale inquietante, dando in questo modo all’azione almeno una forma accattivante, dall’altro il testo di Vincenzo Manna, nella sostanza inquadrato e spinto verso un chiaro obiettivo, inciampa in concetti ripetitivi e cliché che infastidiscono; persino i dialoghi ed i monologhi oscillano troppo spesso tra il forzato ed il melenso.
I sei interpreti degli alunni, tutti giovanissimi e carichi di entusiasmo, reggono benissimo il palco, in alcune circostanze anche troppo – alcuni di loro in effetti tendono a strafare sia con le intenzioni, sia con il fisico – invece Andrea Paolotti, l’idealista Albert, offre una prestazione misurata ed incisiva e tiene in mano l’intera azione.
Gabriele Amoroso
Teatro Sala Umberto
dal 13 novembre al 25 novembre
La classe
di Vincenzo Manna
regia Giuseppe Marini
con Claudio Casadio, Andrea Paolotti, Brenno Placido, Edoardo Frullini, Valentina Carli, Haroun Fall, Cecilia D’Amico e Giulia Paoletti
scene Alessandro Chiti
costumi Laura Fantuzzo
musiche Paolo Coletta
light designer Javier Delle Monache
produzione Accademia Perduta Romagna Teatri, Goldenart Production, Società per Attori in collaborazione con Tecnè, Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale, Phidia