Editoriale 112.
Il significato della figura femminile
Rivoluzioni contro le restrizioni sociali che opprimono
Per l’Editoriale 113. prendo spunto da una frase di Amir Taheri, editorialista e autore attivista iraniano: “Non è la religione che fa parte della vita, è la vita che fa parte della religione” e non solo.
Proprio ieri, 20 novembre 2022, sono iniziati i mondiali di calcio in Qatar, Paese molto ricco ma contro ogni diritto civile.
Se facciamo un passo indietro, da più di un mese la rivolta iraniana – nonostante le molte vittime che miete ogni giorno – vive il suo pieno fulgore. L’immagine del bacio tra due innamorati per la strada ha fatto il giro del mondo ed è l’emblema del cambiamento che i giovani e le giovani vogliono. Lei senza velo, da sottolineare.
Insistere è diventato il verbo. Non demordere è un invito a tutte le popolazioni del mondo che vivono sottomesse.
Ebbene, proprio accanto alle donne iraniane lottano anche gli uomini, in antitesi con i nostrani che si sentono sempre prevaricati dalle figure femminili, forti e virtuose.
La nazionale dell’Iran ai mondiali non ha cantato l’inno con il rischio di tornare in patria ed essere arrestata. Trovo questo gesto eroico, se così si può definire. Sì, eroico, in quanto proprio il cosiddetto sesso forte incoraggia la battaglia femminile.
E quasi alla vigilia della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne trovo questi piccoli e grandi conflitti un urlo alla libertà in tutti i sensi.
Non è solo questione di velo
Gli scontri che attualmente si diramano per le strade delle città dell’Iran sono scaturiti a casua di un velo indossato male. La giovane Mahsa Amini è stata uccisa per questa mancanza. E ora, le ragazze e i ragazzi scatenano un’altra rivolta: levano il turbante degli ayatollah, elemento del potere autocratico.
Al grido “donna, vita libertà” si riflette sulle donne di tutto il mondo e sul loro significato nel mondo.
Mi chiedo quale diritto di prevaricazione si può riflettere sull’altro sesso, se ognuno di noi dovrebbe essere considerato persona unica e a se stante? In che modo le religioni entrano in un contesto dittaotriale, non aprendo alle differenze che in ogni società persistono da secoli?
Se da un lato, da noi l’uomo non accetta l’abbandono ricorrendo all’omicidio della donna e, per certi versi, alla violenza, da un altro si pretende che la donna non lavori, non studi, non abbia una sua vita privata.
E, per esempio, in Afghanistan con il ritorno dei talebani l’universo femminile ha terminato di essere istruito e di gioire di un’esistenza libera e serena.
Libertà è la parola chiave, mentre la morte accomuna tutte queste circostanze ricorrenti, nonostante distanze e confini lontani chilometri.
Dunque, questo termine grottesco – morte – può essere contestualizzato, poiché rientra in quel quadro non roseo che uccide persone, culture democratiche a favore di dittature e abusi di potere che rischiano di espandersi.
La morte settoriale
La morte tuttavia non ha solo a che fare con femminicidi ai quali si dà voce attraverso dei programmi televisivi, come per esempio “Amore Criminale” e “Sopravvissute”, ma la intendo anche come la moria di un Paese e di una politica che non si rinnova, non ascolta i cittadini, parla a se stessa, per ideologie e si fa più presente sui social, divenendo più futile, poco seria e intollerabile.
Qui, così, si favorisce una società sempre più debole e le insicurezze
E in questi istanti ci si ferma, si riflette e si dice addio a proprio modo senza seguire ciò che la nostra religone impone.
Nonostante non sia osservante, però negli anni ho formato una mia idea sul credo nostrano. Mi sono sentita libera di fare la comunione in terzo liceo, ero più consapevole e sono entrata in conctatto con il momomento che stavo vivendo. Insomma, a 10 anni non avrei mai compreso il mio dialogo con Dio. Ne sono certa.
Non mi sento pertanto costretta ad andare a messa ogni domenica: sento la necessità di entrare in Chiesa in una situazioe inaspettata e di conseguenza creo le mie parole, la mia conversazione con i cari che mi osservano dal cielo.
Editoriale 112.: privazione della libertà
In ogni caso ci deve essere comunque un’entità che comanda e determina le circostanze che avvengono nel mondo, ma non so quanto essa possa decidere della pace sul Pianeta.
Dunque, ritorno alla frase iniziale e alla mia interpretazione: “Non è la religione che fa parte della vita, è la vita che fa parte della religione“.
La Religione non deve essere costrittiva, chiusa e dunque non evolutiva. Se la vita significa essere al mondo, respirare e sentirsi parte di un circostante dove convivono donne e uomini, dovremmo sentirci liberi, appunto, di abbracciare un credo a noi vicino.
Quindi la Religione di per sé dovrebbe aprire alle diversità, insegnare l’amore, guidare l’essere umano ad accettare il diverso e all’accoglienza. Dovrebbe tendere la mano.
Continuiamo tuttavia ad assistere a cambiamenti epocali, episodi sconcertanti, cataclismi naturali, ma l’unica cosa a cui non assistiamo è la nostra libertà.
Parola grande, enorme, dal significato pieno, che fa paura alle autocrazie, che perderebbero potere e dimensione, al fine di un’emancipazione e uguaglianza civili.
Soprattutto se le donne salissero al potere, soggetti battaglieri che farebbero della società unità, una vasta estenzioe di menti versatili e capaci di comandare con garbo e intelligenza.
Le modifiche sono il futuro e l’Iran, oggi, si batte per questo. In quanto le donne, oltre a contenere in loro il dono della resistenza, delineano forza, portano pesi interni e al contempo camminano, lavorano, studiano.
Sono il simbolo dell’energia della Terra che le dà loro origine e l’eco delle loro voci raggiunge l’infinito e noi le accogliamo.
Quasi quasi sendo in piazza e mi taglio una ciocca di capelli anche io!
Annalisa Civitelli