‘L’oro di Klim – il romanzo di un capolavoro‘ di Alain Vircondelet, edito da Gremese, indaga con fare introspettivo la vita e le opere di Gustav Klimt, con particolare attenzione a tutto quello che lo ha guidato alla creazione del suo capolavoro: “Il Bacio”
“Non mi interesso alla mia persona come “oggetto di rappresentazione”, ma agli altri esseri, soprattutto femminili, e ancora di più alle apparizioni.” G. Klimt
‘L’oro di Klimt – il romanzo di un capolavoro’, di Alain Vircondelet, dalla scrittura affascinante, è un viaggio nella mente, nell’anima e nell’arte di uno dei più grandi artisti del Novecento. L’autore infatti indaga il percorso dell’artista austriaco attraverso le opere, contestualizzando persone e fatti in modo del tutto appassionato.
I committenti di Gustav Klimt erano soprattutto banchieri, industriali, solitamente di origini ebree, il che faceva sentire l’artista protetto da chi lo riteneva inaffidabile, immorale e trasgressivo.
L’Università di Vienna, nel 1894, incaricò Klimt dell’affresco del soffitto del grande atrio principale dell’aula magna. Il contratto prevedeva un affresco centrale e quattro pannelli allegorici laterali.
Dell’opera e di un pannello, la Teologia, tuttavia se ne occupò il suo amico Matsch, mentre gli altri tre, “Filosofia“, “Medicina” e “Giurisprudenza”, li realizzò Klimt stesso.
“Comunque, la buoncostume lo teneva d’occhio. Era noto per il suo spirito ribelle, una forma di ribellione sorda contro il potere costituito, di cui pure sapeva servirsi, poiché il suo talento lo teneva in qualche modo al sicuro, ma fino a quando? “
L’oro di Klimt: l’universo Klimtiano
Pittore inquieto, strambo, folle e ingombrante: così Gustav Klimt era considerato dai viennesi dell’epoca, cose che pensava anche lui di se stesso. Siamo a fine ottocento, esattamente nel 1897, quando con un gruppo di artisti, tra cui pittori, architetti, musicisti, Klimt fonda la Secessione Viennese, di cui lui ne è il primo presidente e personalità guida.
Gli artisti del movimento aderivano chiaramente ai fermenti dell’Art Nouveau e del Liberty che si sviluppavano in Europa. Un palese distacco dal declino in cui si avviava Vienna e la sua aristocrazia.
In questo contesto si realizza l’arte di Klimt: il suo atelier era infatti frequentato soprattutto dalle donne che amava ritrarre. Aveva pochissimi amici fidati, tra questi Egon Schiele, suo discepolo, per il quale nutriva un’ammirazione particolare.
“Filosofia”, quando fu esposta, nel 1901, in una galleria dove c’erano solo opere di pittori secessionisti, indignò molto la platea, poiché tacciata di essere provocatoria e oscena. All’Esposizione universale di Parigi fu, invece, premiata con la medaglia d’oro.
Con lo stesso disappunto, la critica accolse “Medicina”, presentata al Salone della Secessione nel 1902. Per non parlare di “Giurisprudenza”, ancora chiamata “Diritto”, che raffigurava una donna mistica e impassibile: la donna, immagine sempre presente nei lavori del pittore viennese.
Questo, però, costò allo stesso la restituzione del denaro avuto per la commissione del lavoro, segnando l’inizio del distacco dall’accademismo ufficiale verso il riconoscimento della nuova arte.
“A ogni epoca la sua arte, all’arte la libertà”, aveva proclamato con i suoi amici secessionisti Otto Wagner, Koloman Moser, Josef Hoffmann.
Emilie e le altre
Le donne erano l’unico soggetto artistico che Klimt amava, ma Emilie Flöge era diversa: era il suo angelo custode, quella che riusciva a capirlo senza che lui proferisse parola. Con le sue sorelle, Emilie, aveva un elegante negozio di alta moda e vestiva l’élite di Vienna, nello specifico le donne dell’alta aristocrazia.
L’arte di Klimt si riconosceva dunque nelle sue creazioni: abiti ampi, stoffe con motivi geometrici, i colori delle sue tele. Un’emulazione al suo vate?
Forse solo la sua completa dedizione, un affetto quasi materno, sapeva accogliere Klimt a protezione dalla cattiveria, quando appunto veniva contrastato e criticato. Un amore fatto di passione, delicatezza, nel tempo diventato spirituale e fraterno, ma che nessun’altra donna aveva mai insidiato. Emilie, inconsapevolmente, era la sua unica musa.
Tante donne erano passate dall’atelier di Klimt, avevano posato per lui, ed erano diventate sue amanti. Il pittore infatti pensava che nella loro vita borghese fossero vanitose, avide, traditrici e che solo l’amore corporale, nel massimo del suo piacere, le rendesse umili, libere e arrendevoli. Questa era la donna che Klimt fissava sulle sue tele.
“Finalmente rendevano l’anima, ed è proprio quell’anima che lui cercava di riprodurre nei suoi ritratti. Quella fuga del desiderio verso la tranquillità dell’anima.[…] Ingenuamente, i committenti dei quadri “concedevano” le loro mogli per questa prova, che ogni volta devastava Klimt. Era un lavoro demoniaco, in un certo senso.”
Il ciclo dell’Oro
Nel suo viaggio in Italia, nel 1903, ebbe la rivelazione dell’oro. Ravenna e Venezia con le loro Basiliche furono un’illuminazione per Klimt. Mosaici bizantini, incassati in rivoli d’oro, la bellezza eterea di quei luoghi diventarono la sua ossessione artistica. Tornato a Vienna si mise subito all’opera, dimenticando le delusioni e le critiche ricevute in passato.
“L’Amato e l’Amata, si sarebbero uniti nell’Eternità. Era questa la visione cosmica che voleva trasmettere e consegnare alla futilità di Vienna, alle sue rinunce. All’erosione di un mondo avrebbe opposto la potenza inattaccabile di un menhir d’oro.”
Nacque così il “Fregio di Beethoven”, un affresco murale lungo trentaquattro metri e alto due metri e quindici, distribuito su sette pannelli, il cui tema è quello della ricerca della felicità e il soggetto principale le donne.
Klimt infatti mirava a un’opera in cui universo maschile e femminile si fondessero in un solo corpo e una sola anima. Solo nell’abbraccio di un bacio due mondi così diversi potevano diventare uno, in cui la donna si abbandona alla forza erotica dell’uomo.
“Il Bacio”, sognato sacro, doveva rappresentare invece l’universo divino che scende sulla coppia. La foglia d’oro si riflette su tutta la tela, su un profondo colore ramato. Per lui l’oro era come un faro di luce nella notte e la donna a cui si era ispirato Klimt era sicuramente Emilie, il suo amore sacrale. Questo quadro, secondo l’artista, sarebbe stato la summa di tutta la sua carriera di pittore.
Il quadro più noto quindi diventa il suo romanzo, la sua testimonianza spirituale e poetica, quasi come il libro qui sviscerato: ‘L’oro di Klimt – il romanzo di un capolavoro’, che ci guida nella libertà di espressione artistica propria di Klimt. Analizzata, questa, da Vircondelet con l’occhio del rivoluzionario artista mediante uno stile scorrevole, ricco di descrizioni dettagliate con rimandi alla pittura e alla vita dell’epoca.
Il lettore di conseguenza si trova coinvolto a tutto tondo nella narrazione dalla quale si trae un accurato insegnamento sulla figura di un pittore illuminato e innovativo.
Gianna Ferro
Biografia
Alain Vircondelet (1947) è nato ad Algeri e si è laureato in Lettere alla Sorbona. Autore di libri tradotti in tutto il mondo, tra i quali le biografie di Marguerite Duras, Antoine de Saint-Exupéry, Albert Camus e Giovanni Paolo II, per Gremese ha già partecipato allʼantologia “Bella Italia” (2021), diretta da Philippe Vilain.
Per la sua attività è stato nominato in Francia Cavaliere delle Arti e delle Lettere.
“L’oro di Klimt”, tradotto in italiano da Luigi Muneratto, fa parte della collana editoriale “Narratori francesi contemporanei” diretta da Philippe Vilain.
Alain Vircondelet
L’oro di Klimt
Edizioni Gremese
Collana Narratori francesi contemporanei
Genere Romanzo
Anno 2023
Pagine 128