A Osnago, in provincia di Lecco, per la rassegna “L’ultima luna d’estate”, lo scorso 6 settembre è andato in scena ‘Lottavano così come si gioca’, monologo di e con Luca Radaelli, il quale è diretto da Laura Curino. Qui si contestualizza un racconto appartenente a un’epoca ormai lontana, ma…
In che modo raccontare gli anni Settanta a chi non c’era? La storia lo fa con il piombo. Quello dei proiettili, delle bombe, del colore di nebbia pesante che ormai, anche quella, non c’è più. Ma forse anche quello che, attaccato alle canne da pesca, consente di andare più vicino al fondo delle cose.
Lì si incontrano gli occhi di chi faceva coincidere quegli anni come i suoi migliori, i diciott’anni in cui tutto era possibile, e in quei giorni lo sembrava davvero. Luca Redaelli era uno di quei ragazzi che, per raccontare la sua adolescenza nella provincia milanese di quell’epoca, in cui tutto mutava, sceglie altre parole: gioia e rivoluzione.
Non è che il prestito di una delle tante canzoni, arrabbiate, lucide e potenti come la voglia di cambiare tutto che punteggiavano quei decenni. Da cantarsi rigorosamente a voce spiegata, intorno a un fuoco o in mezzo alla strada, come un grido di esistenza, e pazienza per l’intonazione.
Lottavano così come si gioca: i ragazzi che si è stati
“I cuccioli” di quel maggio, nati troppo tardi per il Sessantotto ma non per sognare un altro mondo, hanno il tempo per perdere tempo, per sbagliare, per perdersi, persino – cantava Fabrizio De Andrè dei loro fratelli maggiori – per la galera.
Perché ad aspettarli fuori rimane “la stessa rabbia, la stessa primavera”. Sono ragazzi, e di loro che ‘Lottavano così come si gioca’, si può narrare soltanto in strada, tutt’al più con un palchetto che consenta a tutti di vedere; e a tutti di capire, come da scuola del teatro di narrazione di cui la regia firmata Laura Curino si mette a garanzia.
Dalla scelta della messa in scena alle battute conclusive del festival diffuso, per i paesi delle province lombarde, “L’ultima luna d’estate” rivela da solo una storia. Nel cortile di una scuola, a Osnago, pochi chilometri da Lecco, con oltre il vetro i banchi dei cuccioli di oggi a cui esporre, con un velo di nostalgia, i ragazzi che si è stati.
Dividere la sorte con i compagni
Intorno i colori delle bandiere della pace, e di qua una fitta platea di persone che, tra di loro, si chiamano ancora compagni. Quelli con cui hai scelto di dividere la sorte.
Dunque, quanta distanza c’è, davvero, tra i loro coetanei di oggi e quella “cucciolata del boom economico” su cui all’improvviso era piombata la storia e il tritolo di chi aveva deciso che quei sogni dovessero esplodere sotto il tavolo degli agricoltori o dentro un cestino di una piazza sindacale; a spezzare il sogno di ragazzi che restano tali, costretti ad aggiungere un’altra alle loro paure, ma anche ai loro sogni?
E, soprattutto, ai loro amori, che insieme alla rabbia era – oggi come allora – la spinta più forte, mischiata con l’ideale nei suoi privilegi come nelle piccinerie.
Ma quale altro strumento può servire a sopravvivere a un tempo feroce, segnato dalla morte? Come raccontarlo oggi, quando il capo della polizia gioca a scopone al circolo operaio, pronto a liquidare in una battuta un tempo che, quantomeno he ha insegnato una lingua, le frasi brevi degli slogan dal marxismo al merchandising?
Sogni spenti
Un tempo quindi da misurare attualmente con la lucidità di chi segna il passo dalle scelte più crudeli e stupide, che quel sogno l’hanno spento dentro il cofano di una R4, spingendo i bambini di allora a scegliere anche la più avariata delle democrazie anziché dividere il pane con i “ragionieri dell’assassinio”.
Così Luca Redaelli descrive con gli occhi appassionati del ragazzo dell’epoca, della generazione sopravvissuta all’AIDS, all’eroina, alla stanchezza di vivere, a quando quel vento aveva smesso di soffiare. E narra con dolcezza venata di malinconia le ingenuità di cui è nutrita ogni adolescenza.
Solo in questo modo si può guardare con gentilezza a chi ha cambiato bandiera (non senza, tuttavia, un filo di sarcasmo) e persino a chi stava dall’altra parte, senza che diventi un tentativo di banalizzare tanto in voga attualmente, bensì riconoscendo il confine su cui un serissimo gioco di bambini si è trasformato nel macello spinto dagli adulti, e di chi voleva soltanto ucciderne un sogno.
Il tempo fa cadere le indulgenze e forse molta rabbia, anche oggi in cui non ne mancano certo i motivi. Eppure precisa i percorsi di chi ha maturato il proprio; e sa, nel tempo dell’individualismo, che pure l’amore, ogni battaglia personale, possono essere un passo verso qualcosa, forse non più il sol dell’avvenire, ma certo un luogo meno buio; a patto di maturare la coscienza.
“Se sapessi parlare di Maria avrei fatto la mia rivoluzione“, come preconizzava un geniale Giorgio Gaber. E forse da lì, dall’alto di quel che l’adolescenza ha lasciato e insegnato, riuscire finalmente a farsi adulti non solo nel colore dei capelli e riuscire ad “aiutare gli altri a dare un calcio al mondo”.
Chiara Palumbo
Foto di copertina dal web
L’ultima luna d’estate – Milano | Osnago
6 settembre
Lottavano così come si gioca
di e con Luca Radaelli
Regia Laura Curino
Produzione di Teatro Invito
Organizzato con il Consorzio Brianteo Villa Greppi