Michela Zanarella
“Scrivere è una grande opportunità“
Michela Zanarella è una poetessa, Giornalista/Pubblicista e scrittrice italiana che, dopo diciott’anni di produzione poetica, ha debuttato nella narrativa con il suo romanzo “Quell’odore di resina”, pubblicato da Castelvecchi Editore lo scorso 27 marzo.
Nata a Cittadella (Padova), dal 2007 vive e lavora a Roma, dove presiede anche l’Associazione “Le Ragunanze”, promotrice di un concorso di poesia, narrativa e pittura giunto quest’anno alla sua decima edizione. A tal proposito, il prossimo 6 ottobre si terrà la cerimonia di premiazione nella splendida cornice di Villa Pamphilj, esattamente all’Antica Vaccheria, a Roma.
La sua poetica è profondamente legata alla natura e alla dimensione umana. In quest’intervista, infatti, l’autrice spiega come abbia vissuto il passaggio dalla poesia alla narrativa e quanto il suo romanzo, che affronta temi attuali come la precarietà lavorativa e la ricerca dell’indipendenza, sia ispirato a esperienze realmente vissute.
Michela Zanarella ha inoltre condiviso i suoi riferimenti letterari e ha sottolineato l’importanza della natura nei suoi componimenti poetici. Ha anche espresso il suo disappunto verso la scarsa considerazione delle attività culturali e artistiche in Italia, ribadendo quanto sia importante attribuir loro il giusto valore anche economico, per non scoraggiare i giovani interessati al settore umanistico.
Michela Zanarella, dopo diciott’anni da scrittrice di poesie, cosa l’ha motivata a realizzare la sua prima opera in prosa, “Quell’odore di resina”?
“Non è stata una scelta semplice, ho atteso a lungo prima di decidere se pubblicare il romanzo o rinunciare del tutto. L’ho tenuto nel cassetto per anni per timore di non essere pronta a orientarmi verso un altro genere letterario. La narrativa richiede consapevolezza e padronanza del linguaggio, ci deve essere una struttura che trascini il lettore, altrimenti ti abbandona già alle prime pagine. La storia di Fabiola, la protagonista, affronta tematiche attuali e racconta le paure e i sogni di una giovane donna alle prese con la ricerca di un lavoro. La precarietà, purtroppo, fa parte ancora oggi del nostro tempo. Mi sono decisa a raccontare esperienze di vita che appartengono a molti giovani, senza la pretesa di dover rivelare chissà cosa, ma con la volontà di non nascondere le difficoltà che ancora esistono. La situazione non è migliorata, anzi, per certi aspetti, forse è peggiorata. Ho deciso di far leggere il manoscritto ad un editor di cui ho piena fiducia, Michele Caccamo. Gli ho chiesto di essere diretto e sincero, se il libro non fosse stato pubblicabile, lo avrei cestinato. Il suo giudizio è stato positivo e abbiamo lavorato insieme per arrivare alla pubblicazione con Castelvecchi Editore. Non avrei mai pensato di riuscire nell’impresa, ma con i suoi consigli preziosi e mirati, alla fine il libro è arrivato in libreria e tra le mani dei lettori e sono molto contenta dei riscontri che sta ottenendo.”
Ora che ha avuto modo di sperimentare entrambe le forme espressive, la poesia e la prosa, ritiene che l’una sia più adatta dell’altra al fine di tradurre in parole i moti dell’anima?
“Sicuramente la poesia è più nelle mie corde, la sento più adatta al mio modo di essere e di esprimermi. La narrativa è un genere in cui mi sento ancora inesperta, come ogni cosa servono esperienza, lavoro, costanza. Con il tempo si acquisiscono strumenti per poter comprendere quale sia la strada migliore, magari scriverò altro, per ora non voglio escludere nulla. Scrivere è una grande opportunità, al di là del genere che si voglia scegliere.”
“Quell’odore di resina” è un romanzo autobiografico? Quanto di Fabiola, la sua protagonista, appartiene al vissuto di Michela?
“Il romanzo racconta in buona parte le mie esperienze. Ho lavorato veramente in un mattatoio, come Fabiola, la protagonista. Ho fatto fatica a ripercorrere alcuni momenti del mio percorso professionale, perché certe situazioni mi hanno segnato profondamente. Sono entrata nel mondo del lavoro molto giovane, avevo grandi speranze e ambizioni, che si sono infrante quasi subito, poiché non riuscivo a trovare un impiego. Ho accettato di entrare in un luogo particolarmente complesso, a contatto quotidiano con la morte di bovini. Volevo essere indipendente e libera di gestirmi economicamente. Per una ragazza appena uscita da scuola, non era certo un macello l’ambiente ideale. Nel libro racconto le inquietudini di una ragazza che sogna di realizzarsi, ma che si scontra con la realtà, senza dimenticare, però, l’ironia, la spensieratezza dettata dall’età, con i primi amori, le grandi amicizie, i tradimenti, i fraintendimenti.”
Quando l’abbiamo intervistata nel 2018, lei ci ha rivelato i suoi poeti di riferimento. Quali sono, invece, gli autori e le autrici determinanti per la sua esperienza di scrittura in prosa?
“Ho sempre amato molto Italo Calvino, ho letto “Il barone rampante” infinite volte, tra i miei preferiti non posso non citare “Il giovane Holden” di J.D. Salinger. Anche i romanzi di Banana Yoshimoto mi hanno accompagnato a lungo, la sua scrittura è molto visiva, e trovo sempre tanta poesia tra le pagine.”
Parlando delle sue opere poetiche, invece, potremmo considerare molte di esse delle odi alla natura. Concorda con questa definizione? Se sì, in che modo la natura entra nei suoi componimenti?
“La natura è sempre stata una fonte di ispirazione da quando scrivo. Mi affido ai quattro elementi, fino a diventarne parte. Siamo connessi all’universo, ciò che ci circonda è in noi. Osservare è fondamentale, quasi come respirare. Quando posso cerco di rifugiarmi nel verde per camminare e vivere la bellezza. Poi ci sono le mie amate montagne, che anche se lontane, sono essenziali per riconnettermi alle origini.“
Lei è Presidentessa dell’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze”, all’interno della quale si svolge la Ragunanza di Poesia, Narrativa e Pittura, concorso letterario e artistico ormai giunto alla sua decima edizione. Quando ha mosso i primi passi in questo progetto, si aspettava che sarebbe diventato un riferimento per gli amanti dell’arte e della letteratura in Italia?
“Assolutamente no. Quando ho dato vita al premio letterario insieme a Giuseppe Lorin, non avevo aspettative di nessun genere. Sapevamo che forse stavamo realizzando qualcosa che avrebbe valorizzato la bellezza e l’amore per l’arte, la scrittura. Non volevamo fosse uno dei tanti premi che esistono, senza nulla togliere al lavoro altrui, ma che fosse particolare, quasi insolito. ‘Ragunanza’ è un termine barocco che significa raduno, le nostre Ragunanze si ispirano ai raduni degli artisti di Cristina di Svezia con la sua Arcadia. Ripristinare gli antichi incontri nella natura, a Villa Pamphilj, nel parco più grande di Roma, senza perdere il legame con la storia, ci ha portato a fare una scelta che nel tempo ci ha regalato tante emozioni. Siamo arrivati alla decima edizione e abbiamo dato voce e spazio a molti artisti e autori in Italia all’estero. Quest’anno abbiamo dedicato il concorso ai pini di Roma, un atto d’amore, affinché siano protetti e non abbattuti selvaggiamente. Per questo abbiamo condiviso l’iniziativa con Jacopa Stinchelli, attivista del Coordinamento Difendiamo i pini di Roma Comitato Villa Glori e direttore generale della Fondazione Rome Chamber Music Festival.”
Michela, data la sua decennale esperienza in ambito culturale, lei concorda con chi sostiene che “con la cultura non si mangia”?
“Purtroppo si fa molta fatica a mangiare con la cultura, perché spesso non viene riconosciuta come un lavoro pari agli altri. Molte attività creative o artistiche spesso non vengono retribuite, si è abituati infatti a far lavorare gli artisti in forma di volontariato, giusto qualche risicato gettone di presenza, se capita. Finché si continuerà ad accettare il sistema e nessuno si impone per far cambiare le dinamiche, si verrà risucchiati da un modus operandi che tende a sminuire e non a valorizzare. Bisogna anche dire che quando ci sono fonti di finanziamento, spesso finiscono ai soliti noti, se non si hanno conoscenze o contatti adeguati. Sono cose risapute, e quindi è meglio non farsi troppe illusioni. Se si tratta di poesia, ancora meno sono le possibilità.”
Cosa risponde, per esempio, a chi scredita le lauree umanistiche e ritiene che gli unici percorsi di studio che valga la pena intraprendere per ottenere stabilità lavorativa siano quelli scientifici?
“Screditare è un atto che danneggia e limita le scelte. Io sono dell’idea che un giovane debba sentirsi libero di intraprendere un percorso di studio senza dover pensare unicamente a cosa sia più conveniente per una stabilità economica, ma purtroppo la società non dà molte alternative. Già al mio tempo, chi si orientava verso Lettere o Filosofia, avrebbe avuto meno possibilità lavorative. Il problema è che il lavoro continua ad essere precario, avere una o più lauree non dà alcuna garanzia.”
Luisella Polidori
Ringraziamo Michela Zanarella per la sua disponibilità all’intervista.