Addio a Niki Lauda. Il pluricampione del mondo di Formula 1 è deceduto a soli 70 anni nella notte tra il 20 ed il 21 maggio 2019 in una clinica di Zurigo, in seguito ad un intervento ai polmoni. Sopravvissuto nel lontano 1976 ad uno spaventoso incidente al Circuito di Nürburgring in Germania, per cui riportò ustioni di terzo grado su tutto il corpo, tornò a correre al Gran Premio di Monza appena cinque settimane dopo classificandosi quarto. Un vero miracolo, un miracolo degno di essere omaggiato
Questione di Metodo: la “Disciplina Laudiana”
“Mi sembra esagerato definirmi gelido, e come un computer. Sono solo un uomo preciso, controllato, che fa un mestiere preciso e pericoloso, un mestiere che non consente errori”.
Cit. Niki Lauda
Eugenio Barba, portavoce del Teatro Antropologico, nonché fondatore dell’Odin Teatret ad Oslo, scriveva tempo fa nel suo prezioso “La Canoa di Carta” che “[…] il teatro ha significato se corrisponde alla scoperta del valore personale del proprio modo di fare teatro”: grazie infatti alla creazione di un proprio metodo creativo, visibile soprattutto nel teatro contemporaneo, dal classico borghese al più recente di ricerca, l’allievo–attore ha sviluppato, col tempo, un insieme di competenze motorie e verbali che ne costituiscono la disciplina, ovvero un reale supporto alla tecnica lavorativa, essenziale per vivere i propri personaggi in scena.
Il latino disciplina discende da discipulus, che a sua volta deriva dal termine disco, il cui significato primo è apprendere ed imparare attraverso delle piccole norme, aventi lo scopo di gestire la nostra indole.
Disciplina dunque come autocontrollo, soprattutto psicologico, che diviene strumento per comprendere la realtà a 360 gradi, donandoci quella sicurezza e competenza di azione che probabilmente uno stile non corretto ci negherebbe.
Niki Lauda era questo: una forma di disciplina allo stato puro che correva sulle quattro ruote. Un agglomerato di virtù (o difetti, che qualsivoglia) che lo hanno forgiato, creando ciò che è stato per un’intera esistenza: un campione sportivo inattaccabile e pluri premiato, stimato persino dai nemici, che ha saputo vivere nel nome della logica un sempre rinnovato presente, senza mai dimenticare un tragico passato.
Come gli eroi del teatro lirico giapponese di un tempo, ha vissuto i suoi drammi professionali e personali attraverso un poetico e leggero sarcasmo, scegliendo sempre la strada dello “scioglimento tragico teatrale” a favore di un finale libero ed ironico.
Niki detto “il Computer”
“Tutti quelli che hanno corso e che corrono in macchina hanno questa consapevolezza: quando si vince, il 30 per cento di merito va alla macchina, il 40 per cento al pilota, il restante 30 per cento alla fortuna”.
Cit. Niki Lauda
Andreas Nikolaus Lauda, detto Niki, nasce a Vienna nel 1949: appartenente ad una famiglia di ricchi banchieri viennesi , si interessò sin da giovane all’automobilismo, per cui abbandonò gli studi universitari. In un’atmosfera quindi di ostilità da parte dei genitori, dopo aver preso in prestito del denaro da alcune banche del Paese, comprò la sua prima vettura per prendere parte alle gare automobilistiche, iniziando dalla Formula 3 fino alla rapida scalata al successo in Formula 1, con la vittoria di ben tre titoli mondiali: nel 1975 e nel 1977 con la Ferrari; nel 1984 con la McLaren. Poco dopo si ritirò per dedicarsi all’attività di imprenditore.
Famoso per il suo carattere schivo e riservato, ebbe una vita intensa, collezionando successi sportivi di grande livello, guidando per March, BRM, Ferrari, Brabham ed infine McLaren: un’esistenza ricca di amori grandi e duraturi (in particolar modo il primo matrimonio con Marlene Knaus, che gli fu vicina durante il periodo della sciagura) e di amicizie assai discusse ma essenziali per la sua crescita professionale, come quella decantata con il suo rivale di sempre James Hunt, detto the shunt ovvero “lo schianto”.
In una lontana intervista, dopo la terribile disgrazia, lo stesso Lauda infatti dichiarò che, proprio grazie alla scalata al successo del suo rivale-amico Hunt, trovò una motivazione in più per lottare e sopravvivere, “[…] sopravvivere per tornare a vincere”.
Ed è poi quello che fece: Lauda, detto “King Rat” a causa degli incisivi sporgenti; Lauda, soprannominato “il Computer” a causa del suo temperamento calcolatore e freddo; Lauda, cinque settimane dopo l’incendio della sua auto, con le ferite ancora aperte, scese in pista e gareggiò, tra dolori e paure mai assopite, classificandosi addirittura quarto.
Ciò che ha sempre affascinato di quest’uomo è stata la forza d’animo ed il coraggio, il coraggio di opporsi, di non omologarsi: come quando, durante la riunione pre-gara dei piloti in quel famoso 1 agosto del 1976 prima del grave infortunio, propose di non correre il GP, spiegando che le condizioni della pista non erano ottimali e che i rischi erano altissimi.
I colleghi decisero ugualmente di gareggiare, bocciando la proposta di Lauda: il resto è triste cronaca. Quella stessa audacia che lo spinse a ritirarsi al secondo giro di corsa prima dell’ultima gara del mondiale del 1976, da disputarsi sul circuito di Fuji in Giappone, a causa di una pioggia torrenziale, rinunciando così al titolo mondiale.
Lauda il codardo. Lauda lo zelante. Lauda il meticoloso
“[…] Era una follia, era correre oltre ogni ragionevole rischio. E mi sono fermato. La Ferrari mi paga per guidare una sua macchina ma non mi paga perché mi ammazzi. Non sarebbe neanche nel suo interesse”.
Cit. Niki Lauda
Niente di tutto ciò. Lauda era un uomo che aveva fatto del rigore disciplinare l’essenza stessa della propria vita: la disciplina come metodo. Un eroe nostrano: non bello, poco socievole e a tratti antipatico. Una persona fredda e calcolatrice, un uomo scostante e silenzioso.
Ripercorrendo la sua carriera ci si rende conto che fu in un certo senso un artista, “l’artista della monoposto rossa”: un professionista che non temeva di esporsi, dotato di condotta, tecnica e grande razionalità. Quando si ritirò in Giappone a 290 km orari, in diretta televisiva sotto l’attenzione del mondo intero, opponendosi in tal modo al mito della Ferrari stessa, rivelò di possedere una grande personalità.
La sua pertanto non fu codardia, bensì dimostrazione di carattere: ad un esame attento ci si rende conto della forza artistica consapevole di Lauda, al pari di tanti padri fondatori del teatro contemporaneo (ci si permetta il paragone azzardato) che hanno fatto della ricerca la propria metodica, la loro stessa particolarità.
A partire da Stanislavskij, con il suo lavoro sugli attori ed il personaggio, per passare poi al rigore di Pirandello e allo stesso Ibsen, che ci hanno regalato figure psicologiche indimenticabili; ed ancora Ionesco con il Teatro dell’Assurdo o Eugenio Barba con il Teatro Antropologico, per arrivare alla costante disciplina fisica del teatro-danza di Pina Baush: cosa hanno in comune questi rappresentanti della sfera artistica con Niki Lauda è presto detto.
Niki Lauda era una persona consapevole e prudente: come un attore che si dica tecnicamente preparato, conosceva se stesso e quindi scelse di autogestirsi e controllare il mondo in cui viveva.
Uno sport, il suo, da sempre al limite dell’umano, oltre che della meccanica, in perenne contatto con l’idea costante della morte attorno a sé. Lauda con la sua inflessibilità, in un mondo di stereotipi e falsi miti, spesso vittime di gossip inconsapevoli, ha scelto la strada della riservata serenità, che fino all’ultimo lo ha distinto dalla massa.
Come un bravo attore per cui “lo spettacolo deve andare avanti”, Niki Lauda ha saputo metter da parte il passato proseguendo inarrestabile il suo cammino, mutilato, deturpato, ferito, dentro e fuori. L’educazione e l’eccesso di zelo, per cui è stato spesso schernito, alla fine lo hanno nettamente salvato. E come si addice ad un grande artista, se n’è andato anche lui calando il sipario: un drappo rosso che correva a 290 km orari, come la sua amata ed eterna Ferrari.
Vania Lai