La Sala Umberto di Roma, dal 11 al 16 gennaio, ha ospitato ‘Non ci resta che ridere’, una commedia genuina e dal sapore dolceamaro. Diretta da Antonio Grosso e prodotta dai Fratelli Diversi, fa riflettere sui successi trascorsi, con la consapevolezza inaspettata che tuttavia la comicità dei vecchi tempi non svanisce
Un gruppo comico anni ’90, separatosi per questioni d’amore, si trova a riunirsi dopo diversi anni, ma le circostanze sono tutt’altro che nobili: il vero motivo dell’incontro riguarda proprio il mero denaro. I protagonisti saranno costretti a rimettere insieme il gruppo, nonostante i contrasti e il malcontento tra alcuni di loro. Che succederà quando i quattro si incontreranno di nuovo?
La storia ha un incipit che di questi tempi ci è molto familiare: ricorda infatti le ultime Reunion che si sono svolte sul grande schermo, tra cui quella dell’intramontabile serie TV “Friends” e del tanto acclamato “Harry Potter”.
I tre protagonisti, Sara, Federico e Umberto, sono rimasti in contatto: Sara e Federico si sono sposati e sono perennemente in crisi matrimoniale, mentre Umberto è il loro vicino di casa. Daniele, il quarto componente, non si vede mai, anche se la sua voce aleggia per quasi tutta la durata dello spettacolo.
Il loro manager si rifà vivo per annunciare al gruppo la grande opportunità: esibirsi al Gran Teatro di Roma, e tra numerose gag i protagonisti affrontano la notizia, ognuno a modo suo.
Molte scene sono costruite intorno a Enzo Casertano che, all’interazione con Francesco Procopio, crea circostanze divertenti, contrastando alla perfezione la goffagine del suo personaggio con la stoicità di quello interpretato da Procopio. Il duo è spesso protagonista sul palco: gli attori costruiscono giochi di parole e situazioni esilaranti.
Sara è interpretata da Maria Bolignano, verace ed esplosiva è un turbine di femminilità partenopea. Infine, Giuseppe Cantore, il simpatico manager, convince i tre ad accettare l’incarico dando vita a equivoci vivaci.
Non ci resta che ridere: una commedia genuina dolceamara
La regia di Antonio Grosso si basa su dinamiche abbastanza semplici e ricorre alla tecnica del metateatro, creando un gioco di suoni e luci del tutto particolare. Nonostante ciò risulta lenta e poco cadenzata. Sembra, in effetti, che la drammaturgia non sortisca l’effetto sperato come ci si aspetterebbe da una regia firmata Grosso.
I dialoghi risultano, al contrario, ritmici: in effetti per la maggior parte del tempo i personaggi si esprimono in napoletano donando alla pièce dinamicità. Menzione particolare va alla scenografia di Luigi Ferrigno e al light designer Luigi Ascione.
Nella seconda parte della pièce, infatti, Ferrigno e Ascione trasformano la scena in un vero e proprio retroscena di un palco. Attraverso giochi di luci e colori, si dà vita all’illusione di un’altra platea dietro le quinte, accompagnata da effetti scenici e musicali.
La commedia genuina dolceamara, dai toni pacati e dai movimenti fluidi, è inoltre caratterizzata dalla musicalità del dialetto napoletano che ben si presta al genere di rappresentazione. Forse la storia poteva osare un pò di più, specialmente nel secondo atto (più breve del primo), dove ci si poteva aspettare una vera e propria esplosione che di fatto non arriva.
Il retrogusto acre di ‘Non ci resta che ridere’ tuttavia fa riflettere sui successi del passato e, in effetti, rammenta ai protagonisti le loro glorie che rappresentano un ricordo lontano e sbiadito. Allo stesso tempo, tale reminiscenza dona ai personaggi la consapevolezza inaspettata che la loro comicità non è svanita, anzi, continua a raccogliere consensi senza volerlo.
Zuleca Rienti
Sala Umberto
dall’11 al 16 gennaio
Non ci resta che ridere
Scritto e diretto da Antonio Grosso
con Maria Bolignano, Francesco Procopio, Enzo Casertano e Giuseppe Cantore
Scene Luigi Ferrigno
Light designer Luigi Ascione
Grafica Max Laezza
Produzione Fratelli Diversi