Alla XVI edizione del “RIFF 2017 – Rome Independent Film Festival”, tenutosi dal 28 novembre al 3 dicembre, alla Casa del Cinema di Roma, il 1° dicembre l’unico film italiano in concorso, ‘Oltre la Nebbia – Il Mistero di Rainer Merz’, diretto da Giuseppe Varlotta è stato proiettato contemporaneamente nelle sale Deluxe e Kodak
Per il Film Festival di Asti, invece, sarà possibile vederlo il 16 dicembre al Teatro Alfieri, alle ore 21.15.
Presentato da Giovanni Casella Piazza, nonché anche produttore insieme allo stesso regista e Irmgard Maria Lintzen e Adriano Schrade, vanta di vari patrocini e un cast di attori sia italiani, sia francesi.
Una produzione italo–svizzera della Kabiria Films e Rec, ‘Oltre la nebbia’ è ricco di sfumature e colpi di scena. Lo spettatore si trova sempre di fronte alla tensione costante, che non smette mai di sorprendere: è impossibile infatti distogliere lo sguardo dallo schermo per l’intera visione (86′ minuti).
Definito da Varlotta (al suo secondo lungometraggio) un mistery–thriller il film è un prodotto maturo e diverso rispetto ai precedenti “Zoè”, ora in DVD, o “Nanà”.
‘Oltre la nebbia – Il Mistero di Rainer Merz’ si sviluppa intorno alla scomparsa di un attore da un set cinematografico. Rainer Merz (Cosimo Cinieri) viene così ricercato dall’investigatore Andreasi (Pippo Delbono) incaricato di indagare sul fatto. La costumista Rosa (Corinne Cléry) si reca nello studio di Andreasi e del suo assistente Nicolò Bonfiglio (Frédéric Moùlin). Da qui si dipanano le dinamiche della misteriosa vicenda.
Girato tra Italia e Svizzera ci guida all’interno di luoghi e paesaggi naturali incantevoli, esterni ed interni alquanto eleganti e raffinati, e paesini di montagna dove ci si inoltra tra vicoli e portici, caratteristiche essenziali.
Le riprese sono rapide, tanto da non stancare mai gli astanti. La sequenza delle scene si incentra soprattutto sui primi piani e dettagli: essi esprimono ogni singola espressione, disegnando meticolosamente gli stati d’animo dei protagonisti.
In alternanza campi lunghi, mezzi primi piani e i cambi di inquadratura rendono l’insieme suggestivo, donando rilevanza anche al paesaggio in lontananza. Questo è dovuto molto all’attenzione ai particolari, che vanno ad agganciarsi alla trama omogenea e abbastanza lineare, rivolgendo lo sguardo a temi assai peculiari.
Il periodo contestualizzato è la settimana Santa. Il film, infatti, è suddiviso in capitoli, ciascuno dei quali è introdotto da frasi riprese dalla Bibbia. Storia, spiritualità, senso di immortalità, rinascita dell’uomo, sacrificio e sacralità sono appunto alcuni degli argomenti toccati che scavano nell’animo umano e cari al regista.
Delbono, infatti, è dell’opinione che ‘Oltre la nebbia’ sia un’opera complessa e visionaria oltre che vantare di un ritmo cubista, come la vita e la follia. In effetti il lungometraggio rimanda ad effetti cinematografici, che volutamente raccontano sogni esoterici, visioni ed incubi (Chiara Peduzzi) appunto, dell’investigatore. E le dissolvenze sono tecniche di coadiuvo.
‘Oltre la Nebbia – Il Mistero di Rainer Merz’ mantiene un ritmo incessante ed inoltre contiene in se una scena emozionante: Pippo Delbono si lascia andare ad una danzasuggestiva sulle note dello “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi. Affidandosi al regista ha dunque la capacità di farsi condurre in un viaggio affascinante.
Atri momenti che ci colpiscono sono i passaggi tra presente e passato: il diario personale di Merz trovato dall’investigatore induce ad una curiosa lettura, tanto da riordinare i tasselli della storia. Si vivono dunque due tempi diversi che si alternano mediante il colore e il bianco e il nero – la vita attuale e la precedente del protagonista – che descrivono i ricordi di Merz bambino (Nicolò Amos Varlotta) lì nella Fabbrica di Cioccolato dove ha sempre vissuto e dove un gruppo di bimbi gioca all’aperto.
Ogni attore esprime carattere, determinazione, rabbia, nostalgia, inquietudine, dolcezza, e tanto altro, affinché il filo conduttore venga vissuto con intensità. Le presenze mistiche ricordano il Medioevo e l’epoca delle sette, che usavano sacrificare i corpi sull’altare.
La colonna sonora, curata da Maurizio Fiaschi, Giorgio Conte eChiara Dello Iacovo, è coordinata e scandita sia da canzoni originali, sia da musiche inquiete e da dolciritmi, i quali si fondono alla classica senza alcuna distorsione.
Luci e fotografia per lo più determinano penombre sostanziali che inducono agli enigmi, al contrario la luce è sempre vivida. Dalla visione maschile si passa alla femminile simbolizzata dal rosso, colore emblematico: passione, forza, sangue, complicità e unione congiungono le donne, poiché loro sono l’avvenire dell’umanità.
Aneddoti, riferimenti in latino, ricordi, parole e immagini surreali rimandano alla figura di Federico II e quello che ha significato al suo tempo. Al contempo Corinne Cléry si presenta elegante e salda; altre figure riescono nelle loro mimiche; Cosimo Cinieri ci attrae sia per la sua ampia vocalità, sia per la sua imponenza attoriale, accostandosi al teatro; Luca Lionello, nella parte del regista Stanley, veste bene i panni dell’artista sui generis e folle.
Il secondo lungometraggio del regista Giuseppe Varlotta esce dal RIFF purtroppo senza alcun riconoscimento ma, come ha espresso lo stesso, egli desidera far arrivare qualcosa a chi guarda, da cui ognuno può trarre la propria percezione: un’opera che non sia usa e getta, come ormai sono gli innumerevoli prodotti che il mercato richiede, bensì un lavoro che rimanga nel tempo per aiutarci a capire noi stessi e chi ci sta accanto, che faccia pensare e vivere non banalmente. Soprattutto insegni ad osservare il circostante con più attenzione.