Sul palco A de La Pelanda di Roma, il 21, 22 e 23 gennaio ha preso vita la tradizione a noi cara, grazie a una storia struggente. Tre donne, madre e due figlie, contestualizzano il proprio dolore a seguito della morte del capo famiglia e ne esce un quadro che, sul finale, ristabilisce pace ed equilibri interiori
Delle scatole-scrigno di legno compongono la scenografia dello spettacolo che si è aggiudicato la finale e la vittoria della VII edizione del Roma Fringe Festival. Esse vengono utilizzate e spostate all’occorrenza creando così una sorta di movimento e vitalità sul palco.
In scena le tre giovani attrici sfoggiano un’interpretazione impeccabile. Nulla è fuori luogo, è il caso di dire: il disegno registico della giovane drammaturga Laura Nardinocchi, è curato in ogni suo minimo dettaglio come la trama e l’ordito del testo. Ogni cosa segue il suo corso grazie a un filo logico preciso, attingendo ad alcune tecniche cinematografiche qui trasposte in teatro.
Ilaria Fantozzi è Maria, Ilaria Giorgi impersona la mamma ma senza nome, mentre Claudia Guidi veste i panni di Marina. Il ristretto nucleo familiare si ritrova a vivere il giorno dell’albero (l’8 dicembre per intenderci, scontato ma non tanto), per adornare l’oggetto con palline colorate e luci baluginanti.
La vicenda ruota intorno al dolore muto delle tre, le quali non sfogano rabbia, sensazioni ed emozioni rispetto alla loro perdita, perlomeno la madre stenta a farsi vedere debole. Lei però vive un’agitazione e un’ansia interne incalcolabili, vicine alla nevrosi: si sente in dovere di stare accanto alle figlie e non lasciarle sole. E’ spaventata e preoccupata, blatera molto e trattiene in sé il suo tormento. Marina e Maria sono stanche di ascoltarla: la prima vuole evadere, visitare il mondo, andare via da quella casa, che è di per sé una prigione; la seconda sembra sia più timorosa, fantastica ed è un po’ difficile.
La situazione viene inserita in un piccolo paese di provincia, dove le frasi di circostanza sono sempre le prime ad essere pronunciate, soprattutto in Chiesa, ambiente in cui è solita la consolazione. Questo sfondo fa da contraltare alla riservatezza della famiglia. La forma dialettale scelta per l’interpretazione è più che azzeccata: essa risuona e vibra particolarmente negli atteggiamenti scontrosi dei personaggi.
L’insieme sinergico viene rappresentato dalle eccessive reiterazioni presenti nel testo, dalle cicliche movenze del corpo, dai vocalizzi sibilanti, dalle imposizioni nel trascinare la pronuncia delle vocali, dalla declamazione mentre ci si dimena liberamente e molto di più.
Si corre, si va lentamente, si piange. Si abbraccia per calmare la disperazione, si desidera essere donna nuovamente, si desidera essere toccate, accarezzate e amate. Si balla, si sogna, si trova consolazione. Si vuole sostanzialmente non essere fredde – “un pezzo di legno secco” – ma solo accettare la situazione della perdita e non nascondere la “parte rotta“. Un vortice di rancore e di amore che non si conclude mai in cui il “volere” si trasforma in fantasticherie.
Quello che di rimando ci vuole comunicare “Pezzi” è appunto che ognuno affronta la sofferenza a suo modo e riordina il puzzle dell’esistenza come meglio può, con la forza che ha; ciò che avviene nell’epilogo è di fatto una riappacificazione con se stessi, che ristabilisce pace ed equilibrio interiori, avendo ricordato con serenità la figura del papà-marito prima, e attraverso suggestive azioni che sfumano sul finale dopo.
Annalisa Civitelli
Foto: Simone Galli
Roma Fringe Festival 2019
21, 22 e 23 gennaio
Pezzi
regia e drammaturgia Laura Nardinocchi
con Ilaria Fantozzi, Ilaria Giorgi e Claudia Guidi
musiche Francesco Gentile
scene Ludovica Muraca
Produzione Rueda Teatro