Sul palco del giovane Altrove Teatro Studio i tre giorni dedicati ad una rappresentazione qualitativamente valida, riportano in vita il grande regista riminese Federico Fellini. Il maestro è messo sotto processo dalla moglie Giulietta Masina, la quale in scena esprime ciò che forse avrebbe desiderato dire in vita
Il sipario si apre su una scenografia composta da un divano in stile rosa antico, dei tavolini e delle sedie in vimini bianche. Qui i due attori, Caterina Gramaglia (Giulitta Masina) e il versatile Giulio Forges Davanzati, il quale veste i panni di altre figure che ruotano intorno alla Masina, dimostrano un’eccellente sinergia.
Lo spettacolo dai registri noir, sempre sospesi da un filo di tensione, e dall’impronta cinematografica, si sviluppa su più piani narrativi: dapprima la Masina parla con la sua coscienza, evocando la sua infanzia; successivamente è coinvolta in una seduta di psicoterapia; dopo, è in compagnia dell’amante Richard; con Marcello Mastroianni discute circa la relazione con Fellini; infine, dialoga con il marito.
Il testo scritto da Riccardo Pechini, “Processo a Fellini”, analizza per di più l’intimo dell’attrice che, sul palco, si libera del suo dolore più profondo. Mandata a Roma da una zia, Giulietta soffre l’abbandono dai suoi genitori e urla la “rabbia” che sente come tutte le rinunce dovute al misconoscimento della propria femminilità. Federico Fellini, infatti, era attratto dall’abbondanza della carne, quella che straripava dai fianchi e dai seni del corpo delle altre donne.
La regia dinamica, che non stanca affatto, vive anche dell’alternanza sul palco dei due interpreti, i quali sfoggiano una recitazione impeccabile: la Gramaglia è molto somigliante alla silenziosa e inquieta, insicura e impacciata Masina, sia nel trucco, sia nell’inflessione; Davanzati, invece, disegna il ruolo dell’ammaliante Mastroianni in modo calzante.
La narrazione, dunque, mano a mano sviscera i problemi che Giulietta ha con Federico ma soprattutto consolida la sofferenza coadiuvandosi di un’intensa luce rossa, momento in cui la protagonista è sola e sfoga la troppa indulgenza al fianco di un uomo che, evidentemente, l’ha ascoltata poco.
Si apre qui l’accusa rivolta a tutti gli uomini falsi e ipocriti, come la lunga sopportazione nel non sentirsi più desiderata. L’insieme viene scandito da un tappeto musicale stridulo che ci cattura dall’inizio alla fine, legato a rumori di sottofondo inerenti allo svolgimento delle scene. Sullo sfondo una tenda di plastica funge da entrata e da uscita dei personaggi, movimenta la pièce donandole un tocco di vitalità in più.
Annalisa Civitelli
Foto: Frida Miranda
Altrove Teatro Studio
dal 25 al 27 gennaio
Processo a Fellini
scritto da Riccardo Pechini
regia Mariano Lamberti
con Caterina Gramaglia e Giulio Forges Davanzati