Discusso e divisivo, ha rivoluzionato il cinema grazie all’adozione di uno stile, un genere cinematografico riservato a una cerchia ristretta di estimatori: il surrealismo. Dapprima animatore e burattinaio, ha lavorato sulla stop–motion quando in Europa era ancora una tecnica pressoché sconosciuta, rendendola, poi, un elemento distintivo della sua filmografia. Una breve ‘retrospettiva Jan Švankmajer’ vi farà conoscere la carriera di un regista singolare, folle e visionario
“Il mondo si divide in due categorie di diversa ampiezza: quelli che non hanno mai sentito parlare di Jan Švankmajer e quelli che hanno visto i suoi lavori e sanno di essersi trovati faccia a faccia con un genio”.
Così scriveva Anthony Lane, un noto critico cinematografico del New Yorker. Noi, di conseguenza, vi invitiamo a lasciare ogni convenzione per quando vi imbatterete in Jan Švankmajer!
Con questa breve ‘retrospettiva Jan Švankmajer’, in effetti, crediamo di potervi stupire.
Pertanto sentitevi liberi di scandalizzarvi o addirittura di essere adirati dal suo linguaggio magari disturbante, perché esso non ha né mezze misure né regole scritte: Švankmajer non scrive film per il suo pubblico, ma esclusivamente per se stesso.
In questo flusso di coscienza tra realtà e fantasia, tra utopia e fragilità dell’essere umano, le storie si dipanano senza soluzione di continuità. Il che può comprensibilmente spiazzare lo spettatore.
La nascita del genere cinematografico surrealista
I padri del genere cinematografico surrealista sono essenzialmente due: Luis Buñuel e Salvador Dalì con “Un chien andalou – Un cane andaluso” (1929) e con “L’âge d’or” di Buñuel (1930).
Due film, questi ultimi, che hanno decretato la nascita del movimento surrealista anche nella settima arte, caratterizzato da un taglio documentaristico che richiama il “cinema primitivo” e non adotta un montaggio che dia ritmo alla pellicola.
Dunque, per farvi comprendere questo tipo di linguaggio, nato appunto in Francia negli anni Venti (tra il 1924 e il 1930) – successivamente al periodo dadaista –, e che vide i suoi fervidi esponenti spagnoli prolifici e liberi nelle loro espressioni artistiche, partiamo da un semplice confronto.
Sappiamo che nella trama di un film tradizionale il bene prima o poi trionferà, mentre in un horror, quasi con certezza, sapremo che uno dei protagonisti inciamperà e verrà sopraffatto dal malvagio di turno, l’auto non partirà e il telefono non avrà segnale (per farvi un esempio dei cliché più tradizionali).
Ebbene, nel codice surrealista questo immaginario non esiste, perché quello che accade all’interno della narrazione non è frutto di una sceneggiatura prestabilita, ma consiste in suoni e immagini presenti nella mente e nella fantasia del regista.
Retrospettiva Jan Švankmajer
L’espressione artistica
Švankmajer, praghese di nascita, ha vissuto tutto il fermento culturale che precedette la famigerata “primavera di Praga” e gli permise di ricevere una discreta fama nazionale.
Tuttavia si può dire che il cinema, almeno all’inizio, non sia stata la sua attività principale. Il futuro regista, infatti, ha lavorato come burattinaio ed animatore, sviluppando negli anni l’interesse per l’animazione di oggetti di cui si servì nella maggior parte dei suoi film.
Le rappresentazioni dei burattini in teatro, a ogni modo, rimase la sua grande passione. Nella cultura boema i burattini, infatti, erano considerati la tradizione per eccellenza ed erano ritenuti la maggior espressione artistica e culturale popolare, fino a diventare la principale attrazione per bambini e non.
Ben presto Švankmajer si dedicò al cinema e alla regia, assimilando il lessico surrealista e interpretandolo a suo modo: i suoi lungometraggi e cortometraggi, infatti, si forgiano di sequenze accellerate, di suoni striduli e, infine, di oggetti inanimati che d’improvviso di animano, elementi tipici del genere surrealista.
Retrospettiva Jan Švankmajer
Gli esordi del regista ceco
L’esordio cinematografico di Jan coincide con la caduta del blocco comunista (1989), che permise all’artista di avere maggiori possibilità sia economiche sia dal punto di vista sociale per esprimere liberamente la sua arte visiva – precisamente dal 1988 –, collezionando premi della critica e recensioni entusiastiche.
Ma sin dai primi anni sessanta il regista cominciò a realizzare i suoi primi lavori: da subito assunse uno stile non proprio immediato ma sicuramente innovativo. Gli oggetti e le cose che animava prendevano vita tramite la stop–motion, quasi come un Toy Story ante litteram.
In questo, Švankmajer ha sempre avuto un enorme talento tanto da ispirare altri suoi colleghi di grandissimo rilievo come Terry Gilliam e i fratelli Quay, per citarne alcuni.
Un regista da scoprire per chi abbia voglia di uscire fuori dall’ordinario e desideri vivere un pizzico di sana follia, sia per ridere dell’assurdo sia del paradossale.
Su Mubi potete trovare la filmografia completa del regista ceco.
Andrea Di Sciullo