Fede e solitudine
Vincitore come “Miglior Spettacolo” al Fringe Festival di Salt Lake City, ‘Safe’ è stato in scena a Roma nella sua versione italiana, al teatro Trastevere, dal 5 al 7 novembre. Lo spettacolo, che dal monologo originale diventa un dialogo, lascia il pubblico profondamente perplesso e non convince
In un’abitazione confinata su un’alta montagna, una giovane suora, sorella Elisabetta, e un misterioso uomo, Paolo, trascorrono lunghe giornate lontani e isolati dal mondo sottostante nel quale è in corso una misteriosa pandemia.
‘Safe’ è un’opera che, forte dei numerosi riconoscimenti ottenuti in diverse parti del pianeta, aveva creato importanti aspettative nel pubblico italiano. La rappresentazione romana tuttavia ha deluso, e non poco, le attese degli spettatori.
Presentato in vari festival (dai quali è sempre uscito con qualche premio assegnato), lo spettacolo è nato come monologo ed è stato sempre rappresentato in inglese. Questo suo debutto nella nostra lingua ha dunque, forse, il limite di essersi scontrato con una traduzione eseguita in modo superficiale e una trasformazione in dialogo che non paga.
Il lavoro, firmato da Federico Maria Giansanti, lascia non poco perplessi: l’opera non fa presa, si perde in una retorica eccessiva e, cosa ben peggiore, una volta messa sul palcoscenico spinge la platea a interrogarsi sull’effettiva qualità dello spettacolo.
L’aspetto più controverso di ‘Safe’ è il totale scollamento dei tre piani teatrali principali: regia, recitazione e drammaturgia.
Il copione di Giansanti è a suo modo accattivante: utilizzare la pandemia come combustibile di questo racconto, così singolare e ispirato, offre al triste periodo iniziato due anni fa una visione quasi mistica che non può non incuriosire.
I temi della fede e della solitudine vengono analizzati sotto un punto di vista che si pone a metà tra l’umano e il filosofico: questo parallelismo sveglia interessanti interrogativi e, visto da diverse prospettive, porta a risposte che sono conferme.
D’altro canto, però, la regia dello stesso autore è estremamente timida; i due attori sembrano abbandonati a loro stessi e mentre la costruzione delle diverse azioni non ha nessun guizzo creativo, la scena è ulteriormente mortificata da un uso pessimo delle luci.
A questo si aggiunge un abuso esasperato di silenzi e una forma troppo superficiale nella descrizione di ciò che non è sul palco.
Ma il problema più grave e fastidioso di questa messinscena è la recitazione: Valeria Wandja e Gabriele Planamente non riescono in nessun modo a dare anima e spessore ai propri personaggi, anzi, tra un uso piuttosto improbabile del romanesco e una fisicità totalmente inesistente, i due attori sterilizzano del tutto i propri caratteri. Fondamentalmente entrambi recitano male.
Il risultato non può soddisfare e, se nella teoria il lavoro ha potenzialità significative, nella pratica queste ultime non si verificano.
Gabriele Amoroso
Teatro Trastevere
dal 5 al 7 novembre
Safe
Scritto e diretto da Federico Maria Giansanti
con Valeria Wandja e Gabriele Planamente
Produzione FMG Produzioni