‘Uno zaino carico di aspettative’ vuole essere una riflessione sulle donne, sulle loro libertà e diritti. Tra definizioni, lotte e conquiste che, tuttavia, stanno lentamente spostando la lente di ingrandimento verso una visione ormai superata di società. Contro la violenza sulle donne che ogni 25 novembre si celebra per il suo significato più intrinseco, con la tendenza di falsificarne il messaggio
Quando ero bambina avevo l’assoluta convinzione che, giunta ai miei quarant’anni, avrei festeggiato al quindicesimo piano di un attico a New York, indossando vertiginosi tacchi a spillo, calpestando un pavimento pregiatissimo e osservando la città attraverso un’enorme vetrata proprio di fronte l’Empire State Building. Spoiler! Le cose non sono andate proprio così.
Sia chiaro, non sto dicendo che siano andate male, ma non mi sono mai trasferita a New York – tanto per dirne una – e ho iniziato a capire che nella vita il fallimento, è un passaggio inevitabile, insito nella natura umana e che ogni singolo individuo ha bisogno di paragonarsi a se stesso, un Io del passato, per acquisire coscienza di sé.
Mi domando quante, come me, siano cresciute con il mito di arrivare alla vetta, quante di noi – con uno zaino carico di aspettative altrui – si siano imbarcate per intraprendere quella strada, lasciando indietro qualcosa fino a sentirsi del tutto smarrite.
Uno zaino carico di aspettative
Il terrore di fallire che nutriamo, se non si percorre quel sentiero (tratteggiato) disegnato da bambine, in cui la risposta più comune alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” sottoposta da chiunque incontriamo è “la ballerina”, resta attaccato su di noi come un’ombra, che inquietantemente ci segue ad ogni passo.
Siamo convinte che cambiare idea sia una colpa, mentre si tratta di una scelta. È la “me” più adulta e consapevole pronta a suggerirci che non saremmo mai realmente felici, inseguendo quell’impolverato obbiettivo.
Ci sentiamo disobbedienti e mentiamo a noi stesse pur di non deludere i desideri di altri, facendoli passare per nostri.
Siamo istruite a dire “sì”:
“Sì lo voglio, sì sto bene grazie, sì ci penso io, sì, sì, sì, sì”
Siamo addestrate a dare il massimo, in ogni circostanza, perché noi donne non possiamo permetterci di inciampare.
Quindi soffriamo – o nel peggiore dei casi, moriamo – per le punte da ballerina, che poi diventano i tacchi a spillo, che poi diventa la molestia sul posto di lavoro, il disagio durante una visita medica, la violenza verbale, quella sessuale, e così via.
Una natura selvaggia, libera e ribelle
Allora noi, esattamente, dove (e come!) ci collochiamo?
Credo che questa domanda sia la somma di tante questioni; una donna per affermare se stessa ce la deve fare, anche a costo di reprimersi rinunciando a scoprire la sua vera natura, che – come ci insegna Clarissa Pinkola Estes nella sua opera “Donne che corrono coi lupi” – è selvaggia, libera e ribelle.
Quando ho iniziato a capire come gira il mondo (male), ho tentato anche di scoprirne le caratteristiche, per cercare di contrastarlo e non lasciarmi divorare dall’annosa questione, che sembra quasi una filastrocca, per cui tutte le donne si odiano e tutti gli uomini, al massimo, “si fanno una scazzottata” per poi bersi una birra al pub sotto casa.
Questa leggenda misogina, mi ha spesso portato a domandarmi come mai il loro modo di comportarsi, sia sempre stato considerato più autentico del nostro. Il loro prendersi a pugni in faccia, coinvolgendo spesso anche terzi, ha più valore.
Compiere un’azione che lascia una delle due parti con un senso di frustrazione, per cui prima o poi qualcuno pagherà le conseguenze, è meno peggio di due donne che non si piacciono pur non conoscendosi.
Quindi, non solo portiamo sulle spalle l’enorme fardello del fallimento, ma dobbiamo anche sentirci dire che non siamo solidali. Gran bella cazzata.
Uno zaino carico di aspettative: le definizioni
Ma è qui che inizia il problema: le definizioni che ci vengono attribuite, da sempre. L’autorizzazione a decidere per noi, facendoci dimenticare con troppa frequenza – come dicevo prima – la nostra provenienza.
Hanno stabilito che siamo “dolcemente complicate”; ci sentiamo ripetere incessantemente la frase “voi donne avete tanto voluto che…” distogliendo l’attenzione dalla lotta e dalla sofferenza derivate dal raggiungimento di quegli obiettivi, che spettavano a noi – descritte come quelle del “sesso debole”, altra cruciale definizione – esattamente come al resto della popolazione.
La privazione di quei diritti – e quindi della nostra libertà – sta portando la società a spostarsi innumerevoli passi indietro: il diritto sull’aborto, tanto per citarne uno, sta scomparendo quasi del tutto, costringendo milioni di donne a rischiare la propria salute, se non la propria vita.
Ci sentiamo sbagliate se denunciamo una molestia, uno stupro, perché sono loro a metterci nel lato sbagliato della storia, obbligandoci ad accelerare il passo per strada ed avere paura del buio.
Le più fortunate di noi sfuggiranno indenni all’eco provocata da un clacson, le altre no; le altre non torneranno a casa, non arriveranno mai all’appuntamento con la migliore amica. La mattina dopo non si sveglieranno per andare a scuola o al lavoro e, con gran probabilità, verranno giudicate duramente prima di essere assolte da una crimine che non hanno commesso.
Verranno inghiottite da una spirale mediatica tanto forte, da farle morire una seconda volta.
E cosa ci separa da loro?
In verità, niente.
So-gna-re
Loro sono esattamente come noi. Si guardano intorno dopo aver parcheggiato l’auto, sono diventate diffidenti, non elargiscono più sorrisi perché si sono dimostrati letali per loro stesse. Sognavano un futuro migliore.
So-gna-va-no
Nel 2024 ciò che dovrebbe essere una garanzia, è diventato un sogno.
Correrei con i lupi a piedi nudi e con i capelli sciolti, libere da un senso del dovere che include nella stessa frase le parole donna e madre, non è più una metafora di vita, ma un desiderio vero e proprio che, silente, prende forma nel quotidiano di ognuna di noi.
Mi osservo ed osservo le mie compagne di viaggio; mi accorgo che non siamo poi tanto diverse dalle nostre antenate, che proteggevano la loro vita e quella di coloro che amavano con una lancia, o con arco e frecce, o con le unghie, se necessario.
Siamo talmente vicine alla fine delle nostre libertà, da rivivere l’inizio di tutto. E noi, creature distinte ci impegniamo a restare unite, mentre il mondo crolla e prende possesso di noi.
Oggi, 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, siamo qui per ringraziare le sorelle che ci hanno messo la faccia, che hanno sacrificato la propria vita, che non hanno avuto paura e che ci hanno lasciato un’eredità così grande e preziosa da non poter essere dimenticata.
Anche noi, qui, nel nostro piccolo, possiamo fare la differenza. Non dimentichiamoci mai chi siamo e da dove veniamo.
Silvia Bruni
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