‘Versicidio’ di Riccardo Delfino non è solo una raccolta di poesie, ma la poesia diventa sfida infinita in una lotta continua con l’io, il poeta uccide i propri versi mentre affronta sè stesso, la guerra, l’amore, la violenza, la malattia, i grandi temi dell’umanità
‘Versicidio’, seconda raccolta di Riccardo Delfino edita per Terra d’ulivi, è una prova di maturità poetica per il giovane autore romano che ha superato brillantemente l’esordio con “Il sorriso adolescente dei morti” pubblicato con RP Libri.
L’autore così prosegue il suo cammino con determinazione tra ricerca, studio, sperimentazione.
Vittorino Curci nella postfazione, infatti, ci presenta il nuovo libro di Delfino come un’opera compatta, con una struttura ben definita, e suddiviso in tre parti: necessità, baricentro e terraferma.
Potremmo inoltre definire le sezioni tre fasi di attraversamento dell’io: nella prima l’urgenza di scrivere si fa rituale, avviene qualcosa di interiore che porta il poeta a sfidare il limite, è quella “scarica accuratissima” che spinge le dita a una sequenza precisa di versi che poi possono interrompersi, fino ad annullarsi totalmente: “è lei, è l’oscena prefazione/del fine vita, è rito, preghiera”.
Versicidio: sesso, dolore e morte
Ci si addentra nella sfera di una sessualità spinta all’eccesso, come se i corpi fossero esclusivo strumento di piacere per affondare un’inquietudine e solitudine profondissime: “Li preferisco di età prepuberale./Magri. Che paiano morti di fame”.
Il poeta ci abitua da subito ad un linguaggio tagliente, a volte spietato e crudele, perché è così che a volte si presenta la vita, non lascia scampo al dolore, e mentre crediamo di appartenerci, in realtà nulla del nostro corpo e della nostra identità è nostro fin dalla nascita, a partire dal nome che ci viene dato.
Ma se tutto sembra precipitare nel vuoto, in un’estrema povertà identitaria, ad un certo punto il tenore espressivo cambia e la parola diventa meno lugubre, ritorna vitale, perché il verbo, il lessico, sono la sola difesa rimasta all’uomo.
L’io dentro il precipizio
Nel baricentro ci si avvia verso una precipitazione, l’io ci fa “voraginare” scrive Delfino e non è un caso che si ripeta il termine “marmo”, che richiama ad una forte simbologia con chiaro riferimento alla morte.
Le poesie, in ‘Versicidio’, entrano nel vivo della malattia, nella sofferenza: “crediamo/nell’arbitrarietà del baricentro:/che l’olocausto delle vene sia quello del cemento”.
E si conclude con “Terraferma” questo viaggio di attraversamento e svuotamento dell’io, che non garantisce risposte né soluzioni, ma interrogarsi sul senso dell’esistenza, riflettere sull’oltre, varcare il limite con il privilegio grande delle parole.
È dunque una preziosa opportunità, perché “siamo il prosaico dolore/del linguaggio” e, nei limiti e nelle fragilità, possiamo comunque imparare a riconoscerci.
Michela Zanarella
Biografia
Riccardo Delfino ha 22 anni e nasce a Roma. Nel 2012 vince il secondo posto al concorso “Leoni di ferro” e il primo premio al concorso “Le parole dell’anima”. Versi tratti dal suo libro d’esordio, “Il sorriso adolescente dei morti” (RP Libri, 2021), sono apparsi in numerose riviste come Avamposto Poesia, Atelier Poesia e Poetarum Silva, sono stati tradotti in spagnolo e portoghese e pubblicati su riviste internazionali come la messicana Tallerigitur, Revista Kametsa e Oristeia, nonché su La Lettura del Corriere della Sera.
È un arbitro di calcio e studia Scienze Filosofiche.
Versicidio
Edizioni Terra D’Ulivi
Collana Deserti Luoghi
Genere Poesia
Anno 2023
Pagine 57