‘Vivere non è un gioco da ragazzi’ è una miniserie di sei episodi, disponibile su RaiPlay dal 12 maggio e in onda su Rai1 dal 15. I produttori sono gli stessi di “Mare Fuori”, ma il tono è tutt’altro: per trattare il tema del consumo di droga da parte dei giovani, la serie cade nella retorica e in facili stereotipi. E risulta molto più alla portata di certi adulti, piuttosto che dei ragazzi
‘Vivere non è un gioco da ragazzi’ è, come si intuisce fin dal titolo, una serie pensata (anche) per i giovani.
Certo, il fatto che sia trasmessa su un canale televisivo e su una piattaforma targata Rai fa sorgere il sospetto che il prodotto cerchi di accattivare al tempo stesso un pubblico più adulto, perlopiù over 40. Questo, infatti, è il target a cui in genere sono rivolte le fiction trasmesse in prima serata su Rai1.
Tuttavia, dopo il successo di “Mare Fuori”, che ha messo d’accordo spettatori di diverse età, le nuove generazioni avrebbero potuto cominciare a ricredersi circa le buone intenzioni di Mamma Rai. Forse, quest’ultima può esserci amica; non vuole costantemente farci la predica ma, un po’ alla volta, sta imparando a parlare la nostra lingua.
Ebbene, ‘Vivere non è un gioco da ragazzi’ rende vana questa speranza, nonostante i produttori siano gli stessi della serie ben riuscita citata sopra.
Intendiamoci, non è una brutta fiction. A penalizzarla, però, è la messa in scena di dinamiche stereotipate e di alcuni messaggi inaccurati. Vediamo quali.
Vivere non è un gioco da ragazzi: la trama
Il protagonista è un ragazzo perbene di nome Emanuele (Riccardo De Rinaldis Santorelli), chiamato Lele da amici e famiglia. Ѐ un diciottenne di umili origini che vive a Bologna e studia in un liceo classico frequentato da ragazzi di famiglie più agiate. Non ha mai dato pensieri alla madre Anna (Nicole Grimaudo) e al padre Marco (Stefano Fresi) ed è molto amato dalla sorellina Linda (Ginevra Culini).
Il suo migliore amico è Pigi (Pietro De Nova), figlio di un avvocato che vorrebbe ricalcare le orme del padre. Per questo motivo è studioso, composto al punto da rispondere al luogo comune dello sfigato, con gli occhiali, la camicia e un modo di relazionarsi che agli amici appare bacchettone.
Lele è innamorato di Serena (Matilde Benedusi), una compagna di scuola. Per descriverla alla sua sorellina, il ragazzo usa un altro stereotipo: per lui, è “la principessa di tutte le favole“.
Serena è la bella della classe e, siccome proviene da una famiglia benestante, con la madre Sonia (Lucia Mascino) candidata sindaca di Bologna, non riesce a vedere davvero Lele.
La compagnia di amici di Serena è composta da altri ragazzi e ragazze e, insieme, trascorrono ogni sabato sera in discoteca. Qui, si calano pasticche di MDMA.
Lele, per farsi notare dalla sua bella, prova ad assumere la stessa droga. Poi, per guadagnare soldi, sempre al fine di farsi considerare da lei, decide di darsi allo spaccio in piccole quantità.
Una sera Lele vende l’MDMA a un amico di Serena, Mirco (Tommaso Donadoni). Il giorno dopo, viene comunicato a tutti che Mirco è morto, proprio a causa della droga assunta.
Per il protagonista, convinto che a uccidere il ragazzo sia stata la pasticca che aveva comprato da lui, è l’inizio di un calvario emotivo.
Tra segreti mantenuti e concetti di base sconosciuti
A peggiorare la situazione di Lele c’è il fatto che, nonostante solo Pigi sappia della pasticca venduta, il commissario Saguatti (Claudio Bisio) gli ronzi intorno come una mosca.
Saguatti è una specie di amico di famiglia anche se è mal tollerato un po’ da tutti, a partire dalla sua ex moglie Marta (Elisabetta Cavallotti), che è a capo del commissariato in cui lui lavora. Lo ha lasciato perché è un donnaiolo che ci prova con tutte e che sembra non provare empatia per nessuno, neppure per il suo collega che maltratta ogni qualvolta questo apre bocca.
Ovviamente, in pieno stile fiction, in seguito si scopre che Saguatti ha i suoi motivi per comportarsi così e che sotto sotto nasconde un cuore d’oro.
Lo stesso vale per tutti gli altri personaggi, tra cui l’algida Serena che, una volta cominciato il dramma, si decide con tempismo perfetto a innamorarsi di Lele, non sapendo che probabilmente è lui il responsabile della morte dell’amico.
Ma Serena fa di tutto per sventare i sospetti delle famiglie e della scuola, secondo cui tutta la loro compagnia sarebbe composta da tossicodipendenti. Perciò, gira un video di sensibilizzazione il cui messaggio di fondo è “La droga fa male”. Alla fine del video, Lele si alza in piedi e, sinceramente indignato, protesta urlando: “Ma se la droga fa male, perché nessuno lo dice in televisione? A noi non l’ha mai detto nessuno e Mirco non lo sapeva quando l’ha assunta!“.
Il tentativo di parlare ai giovani
A diciott’anni, però, si dovrebbe essere consapevoli del pericolo che si corre calandosi l’MDMA. E la televisione che, volendo essere obiettivi, ormai i ragazzi dell’età di Lele poco considerano, parla eccome degli effetti della droga.
Ma gli amici del gruppo pare non sappiano nulla e dicono spesso che le pasticche sono una figata, utilizzando questo termine che sembra messo lì per rendere palese il tentativo della Rai di parlare la lingua dei giovani.
Però, non si è resa conto che gli stessi sono anche sensibili nei confronti dei disturbi mentali, e che il disprezzo di Serena per il padre presunto bipolare suona quindi fuori luogo.
E ancora, un altro segreto della ragazza riguarda una sua disfunzione fisica al cui proposito, a un certo punto, lei afferma: “Nel 100% dei casi, è una cosa psicologica“. Il che non è affatto vero.
Si può fare di meglio
Insomma, ‘Vivere non è un gioco da ragazzi’ sembra rappresentare una generazione quasi ignara degli effetti delle sostanze stupefacenti, di ciò che riguarda il proprio corpo, di ciò che comportano le proprie azioni.
E, ancora una volta, mette in scena una narrazione basata sui soliti stereotipi: il bravo ragazzo povero che si mette nei guai per farsi accettare dai ricchi; la bella della classe vista come un’irraggiungibile principessa; lo sfigato di turno.
Finché la Rai tenterà di parlare ai giovani cercando a tutti i costi di farsi piacere dai meno giovani, il risultato sarà sempre lo stesso. Serie scorrevoli, facili da seguire, ma che lasceranno alla fine la sensazione che fosse tutto un po’ forzato. Il concetto è interessante, ma l’esecuzione è decisamente da migliorare.
Eva Maria Vianello
Foto dal web
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Vivere non è un gioco da ragazzi
con
Riccardo De Rinaldis Santorelli Lele
Matilde Benedusi Serena
Pietro De Nova Pigi
Tommaso Donadoni Mirco
Nicole Grimaudo Anna
Stefano Fresi Marco
Ginevra Culini Linda
Claudio Bisio Saguatti
Lucia Mascino Sonia
Produttore Roberto Sessa
Casa di produzione Rai Fiction, Picomedia
Distributori Rai1, RaiPlay
Genere Drammatico
Anno 2023